Schede CTS

L'imprenditore in Marshall, Schumpeter, Keynes e Hayek

L'imprenditore in Marshall, Schumpeter, Keynes e Hayek

Con Marshall, Schumpeter, Keynes e Hayek i fattori della produzione da tre salgono a cinque: terra, lavoro, capitale, imprenditore, Stato.

Marshall ha affrontato la figura dell’imprenditore attraverso il ruolo svolto dai distretti industriali come modelli di sviluppo legati al territorio. Le economie esterne di localizzazione realizzate dai distretti industriali consentono di rendere più efficiente un insieme di piccole imprese organizzate in distretto, rispetto ad un’unica grande impresa integrata e organizzata su basi gerarchiche. Nella determinazione di questo risultato entrano in gioco i costi di transazione tra le piccole imprese del distretto. Elementi concorrenza e di cooperazione determinano l’abbattimento dei costi di transazione tra le piccole imprese del distretto, grazie all’agire delle economie esterne di localizzazione. Al crescere delle dimensioni delle imprese integrate aumentano, dato il progresso tecnico, i costi di coordinamento, che vanno confrontati con i costi di transazione dei sistemi di piccole imprese come nel caso dei distretti. Dal loro confronto nascono i vantaggi comparati di un modello rispetto all’altro. Ma il progresso tecnico e la rivoluzione digitale che stiamo vivendo riduce i costi di transazione e ha quindi effetti enormi sui modelli organizzativi delle imprese e sulla loro produttività e competitività.

Con Schumpeter emerge il ruolo fondamentale dell’imprenditore innovatore come fattore della produzione, artefice dello sviluppo economico. Per Schumpeter il progresso tecnico è il motore dello sviluppo economico. E’ il pensiero del grande economista austriaco presentato nella “Teoria dello sviluppo economico” del 1911. Tre sono le forze fondamentali dello sviluppo economico: a) l’imprenditore innovatore; b) un sistema di piccole e medie imprese che operano in un ambiente concorrenziale; c) le banche che creano credito e consentono la trasformazione delle innovazioni in risultati per il mercato. Il concetto schumpeteriano di innovazione è molto ampio e abbraccia le innovazioni di processo, di prodotto, istituzionali, dei modelli organazzativi delle imprese, del sistema dei trasporti, dell’entrata in nuovi mercati e così via.

imprenditore

La figura dell’imprenditore come fattore della produzione entra in crisi con Keynes, in relazione alla grande crisi del 1929. Nella “Teoria Generale” del 1936 emerge il ruolo fondamentale dello Stato come fattore della produzione per risollevare l’economia mondiale dalla grande depressione in cui era precipitata. L’incertezza è l’elemento che permea tutto il mondo keynesiano della “Teoria Generale” e che sta alla base delle crisi. Essa colpisce l’efficienza marginale del capitale facendola scendere a livelli così bassi che anche tassi dell’interesse molto bassi non sarebbero in grado di mettere in moto per via endogena la domanda, la produzione, l’occupazione. “Sembra probabile, afferma Keynes nella “Teoria Generale”, che le fluttuazioni nella valutazione del mercato in merito all’efficienza marginale del capitale… siano troppo grandi da essere compensate da un fattibile mutamento del tasso dell’interesse”. E aggiunge: “attendo di vedere lo Stato… assumere, sulla base del vantaggio sociale generale, una responsabilità sempre più grande di diretta organizzazione degli investimenti”. La grande crisi in cui era precipitata l’economia mondiale e la grande disoccupazione avevano colpito in modo profondo la mente e i sentimenti di Keynes, portandolo ad auspicare l’intervento dello Stato nell’organizzazione diretta degli investimenti. Per Keynes, le forze spontanee del mercato non sarebbero state mai in grado da sole di riportare i sistemi economici fuori dalla crisi in tempi relativamente brevi, mentre il lungo periodo era troppo lungo per impedire sacrifici insopportabili a grandi masse di lavoratori. Si assiste così ad opera di Keynes ad un rovesciamento della legge di Say: non è più l’offerta che crea la propria domanda ma la domanda che crea la propria offerta. L’atto di investimento precede quello del risparmio. La formazione del risparmio è resa possibile dall’aumento del reddito che deriva dall’espansione della domanda. Questo meccanismo non risulta facilmente accettabile all’epoca di Keynes, tanto è vero che lo stesso Einaudi si mostra molto critico nei confronti delle nuove idee dell’economista inglese. Nel modo di vedere di Einaudi, l’atto dell’investimento non è concepibile senza un precedente atto di risparmio da parte di una nazione. Tale risparmio non può che essere il frutto di tanti piccoli risparmi accumulati in passato dai buoni padri di famiglia attraverso un livello dei consumi inferiori ai redditi guadagnati. Ma il più acerrimo nemico delle idee keynesiane sulle cause della crisi sarà Hayek. Con il diffondersi delle idee keynesiane, si assiste ad una costante tendenza all’aumento delle spese pubbliche. L’incidenza delle spese pubbliche sul reddito nazionale ha raggiunto ai nostri giorni livelli che sono tre o quattro volte superiori a quelli che si potevano osservare nel 1914. La spesa pubblica assorbiva mediamente il 15% delle risorse prodotte dai paesi antecedemente la prima guerra mondiale, oggi ne assorbe più del 50%. La legge di Wagner sull’espansione delle spese pubbliche sembra ricevere storicamente un’ampia conferma. Ma gli effetti di lungo periodo sui sistemi economici si sono mostrati preoccupanti. Keynes, quando sosteneva di attendersi di vedere lo Stato assumere una responsabilità sempre maggiore nell’organizzazione diretta degli investimenti, aveva di fronte a sé una realtà ben precisa. L’eccezionale livello raggiunto dalla disoccupazione e i prezzi calanti non lo facevano temere per gli effetti inflazionistici dell’intervento dello Stato in economia. L’intervento stesso si collocava allora su livelli molto modesti e la spinta della domanda pubblica avrebbe certamente contribuito nel breve periodo a risollevare la produzione e a ridurre la disoccupazione.

Hayek propone una spiegazione della grande crisi del 1929 opposta a quella di Keynes. Non si tratta di una crisi di sottoconsumo ma di sovrainvestimento, affermando la capacità riequilibratrice del mercato attraverso la flessibilità dei salari e dei prezzi. Hayek è il grande sostenitore dei sistemi basati sulle scelte economiche decentrate e quindi sul valore della libertà per il buon funzionamento dell’economia di mercato. Diverse sono pertanto le ricette proposte da Keynes e da Hayek per uscire dalla crisi: sostegno alla domanda aggregata attraverso gli investimenti pubblici per Keynes e nessun intervento per Hayek, lasciando che la flessibilità dei prezzi, dei salari e dei tassi di interesse riporti in equilibrio il sistema. Hicks descrive in molto molto efficace questo contrasto: “Chi aveva ragione? Hayek o Keynes?... Avevano in comune – ed era tutto quanto sembravano avere in comune – la discendenza intellettuale da Wicksell che ciascuno sosteneva: ma Wicksell più Keynes diceva una cosa e Wicksell più Hayek ne diceva un’altra”.

Considerando il pensiero di Hayek e Keynes alla luce dei grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa, possiamo dire che il primo dava grande importanza alla solidarietà mentre il secondo riteneva essenziale per il buon funzionamento dell’economia di mercato la sussidiarietà. Ma la solidarietà senza la sussidiarietà porta al burocratismo e all’appiattimento dell’iniziativa e della creatività economica, che sono alla base dello sviluppo e della costruzione del bene comune. Lo ha messo in evidenza con grande lucidità Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis del 1987: “L’esperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una pretesa uguaglianza di tutti nella società riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito di iniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino”. La sussidiarietà senza solidarietà esalta gli egoismi localistici riducendo, o annullando, l’attenzione all’altro e alle esigenze della comunità di persone. Per questo la Dottrina Sociale della Chiesa ci insegna che questi due grandi valori della solidarietà e della sussidiarietà vanno coniugati insieme in un sapiente equilibrio, per creare sviluppo e la costruzione del bene comune.

 

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)