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Eurafrica: un destino comune?

Eurafrica: un destino comune?

L’Impero Romano ha mostrato la sua espansione in modo strategico verso l’Africa. Si trattava di un modello interessante di integrazione basato sulla costruzione di bellissime città in territorio africano e sull’inserimento degli schiavi nella società romana che entravano a far parte della famiglia. Lo schiavo veniva nutrito, protetto e valorizzato all’interno della famiglia romana, con funzioni di amministrazione della casa e con la possibilità di diventare libero. Si trattava quindi di un concetto di schiavitù basato molto sull’integrazione, al contrario di quello che sta avvenendo ai giorni nostri con i fenomeni migratori che stanno mettendo in crisi l’Europa e soprattutto i Paesi del Sud come l’Italia.

Attualmente il continente Africano conta 54 Paesi con 1,216 miliardi di persone, rispetto ai 741,4 milioni dell’Europa. La previsione della popolazione africana al 2050 è di 2,4 miliardi di persone. Alcuni Paesi come la Nigeria avranno una popolazione enorme, con previsioni di 794 milioni di abitanti entro la fine del secolo.

Di fronte a questo scenario demografico e a tutti gli altri sviluppi economici e sociali ad esso collegato, l’Europa non potrà avere un futuro senza l’Africa. Per questo dobbiamo parlare di Eurafrica con un destino comune tra i due continenti. La Cina si è accorta prima di noi dell’importanza strategica dell’Africa per sostenere un certo modello di sviluppo, con investimenti enormi nel continente Africano grazie agli avanzi commerciali con l’estero e ai movimenti di capitali cinesi sotto forma di investimenti diretti esteri (IDE).

In tempi più vicini a noi, l’Europa è stata storicamente molto presente in Africa attraverso le colonie, con un primato della Francia, del Regno Unito e in parte anche dell’Italia. Ma quel modello è finito e si basava su una presenza nel territorio africano dei paesi colonizzatori, imponendo i loro modelli di sviluppo, la loro lingua e le loro istituzioni politiche e sociali.

eurafrica

Ma quale modello di sviluppo dovrebbe caratterizzare l’Eurafrica del futuro? Innanzi tutto attraverso la diffusione di un’economia d’impresa nel continente Africano, facendo leva sulla propensione imprenditoriale molto diffusa in Europa e, in particolare, nel nostro Paese. L’Italia ha sei milioni di imprese, comprese quelle agricole, con un rapporto di un’impresa ogni dieci abitanti. Una propensione all’imprenditorialità che non ha eguali in nessun altro Paese Europeo. Questo punto di vista viene espresso con grande decisione nella Centesimus annus di Giovanni Paolo II puntando sull’economia d’impresa, preferendola al modello di economia capitalistica o di economia di mercato in senso stretto. Un modello, quello dell’economia d’impresa, ispirato ai due grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa: solidarietà e sussidiarietà. Solidarietà nei confronti dei Paesi Africani, ma anche sussidiarietà perché l’Africa potrà essere salvata solo dagli Africani, come affermava il grande Daniele Comboni che ha speso tutta la sua vita per l’Africa.

Attualmente la popolazione mondiale supera i sette miliardi di persone, di cui un miliardo di ricchi e sei miliardi di poveri. I venticinque Paesi più ricchi del mondo, su circa duecento, hanno un reddito medio pro capite di 26 mila dollari. Nei venticinque Paesi più poveri il reddito pro capite non raggiunge i 320 dollari. La media mondiale del reddito pro capite è di 6 mila dollari. La concentrazione del reddito nei Paesi ricchi, il cui peso sulla popolazione mondiale è meno di un sesto (superava un terzo nel 1900) determina in tali Paesi una forte tendenza alla saturazione della domanda con una spasmodica corsa all’innovazione di prodotto (innovazione dei prodotti esistenti e dei prodotti nuovi) per trovare nuovi spazi in mercati sempre più ridotti dal peso decrescente della popolazione su quella mondiale.

Le possibilità maggiori di espansione della domanda a livello mondiale provengono dai Paesi in via di sviluppo. Una crescita del reddito pro capite mondiale dagli attuali 6 mila dollari a quello medio dei Paesi che si collocano tra il ventiseiesimo e il cinquantesimo posto nella graduatoria mondiale, pari a circa 9 mila dollari, determinerebbe un aumento del reddito mondiale e quindi della domanda intorno al 50%. Un’espansione dei mercati di enormi proporzioni (effetto Smith) da cui trarrebbero benefici sia i Paesi in via di sviluppo che quelli ricchi.

Sono due i problemi fondamentali che si presentano di fronte a questo scenario: la garanzia di uno sviluppo sostenibile per il rispetto delle compatibilità ambientali; il trasferimento di capitali dai paesi ricchi a quelli in via di sviluppo per realizzare questa eccezionale espansione del reddito e dei mercati. Questo trasferiento in parte sta già avvenendo, come nel caso già citato della Cina.

Per quanto riguarda l’ambiente, è importante citare l’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco sulla cura della casa comune. Il primo punto che attira la nostra attenzione è che Papa Francesco si preoccupa di precisare a chi è rivolta l’Enciclica sociale, puntualizzando che mentre l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium era rivolta specificamente ai membri della Chiesa, l’Enciclica sociale Laudato Si’ è dedicata a tutti gli uomini che abitano questo pianeta. E in questo il documento ricorda l’Enciclica sociale di Giovanni XXIII Pacem in terris del 1963, rivolta anch’essa non solo al mondo cattolico, ma “a tutti gli uomini di buona volontà”. Va pertanto sottolineata l’universalità dell’Enciclica, giacchè il clima viene definito “bene comune”, cioè di tutti e di ciascuno. La sua costruzione pertanto spetta a tutti gli uomini che abitano la Terra, nessuno escluso.

L’Enciclica di Papa Francesco si caratterizza inoltre per il sistematico riferimento al pensiero sociale della Chiesa espresso dai suoi predecessori, soprattutto da Paolo VI con la Octogesima adveniens del 1971 in cui il problema ecologico assume una rilevanza preoccupante per il futuro del pianeta. E vengono ricordate queste parole di Paolo VI riferite all’azione distruttrice dell’uomo nei confronti dell’ambiente naturale in cui vive: “Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione”.

L’altro aspetto generale che colpisce dell’Enciclica sociale di Papa Francesco è lo stretto collegamento tra ecologia umana ed ecologia ambientale. E’ infatti l’uomo il principio e la fine di ogni atto perché è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza e perché custodisse la terra e moltiplicasse i suoi frutti.

Per quanto riguarda infine il trasferimento di capitali verso l’Africa, essi dovrebbero essere investiti sia nei settori privati, soprattutto in quelli che presentano un basso rapporto tra capitale e prodotto, sia nei settori delle infrastrutture materiali e immateriali, dell’istruzione e della sanità, con il concorso primario delle istituzioni finanziarie internazionali, profondamente riformate. Ma è l’Europa che dovrebbe trovarsi in prima linea in questo trasferimento di capitali per lo sviluppo economico e sociale dell’Africa, per il suo stesso futuro e per non uscire dalle grandi traiettorie della storia.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 3 dicembre 2018