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Riserve valutarie e sviluppo delle imprese esportatrici

Riserve valutarie e sviluppo delle imprese esportatrici

E’ cresciuto molto negli ultimi tempi il prezzo dell’oro. E’ un segno evidente dell’incertezza che stiamo vivendo a livello mondiale, lasciandoci alle spalle il vecchio ordine economico globale nato con gli accordi di Bretton Woods del 1944. Sono infatti in crisi le grandi istituzioni politiche ed economiche mondiali che hanno sostenuto l’epoca di grande sviluppo all’indomani del secondo conflitto mondiale. Parliamo dell’ONU, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e delle altre istituzioni economiche e finanziarie nate su base multilaterale.

Il multilateralismo è in profonda crisi e si preferisce la via del bilateralismo avviata e sostenuta con grande forza dall’attuale Presidenza americana che non perde occasione per evidenziare l’inutilità delle attuali istituzioni multilaterali che costano molto e offrono pochi vantaggi ai Paesi contributori..

E’ difficile intravedere oggi un nuovo ordine economico mondiale e in questo stato di grande incertezza è aumentata fortemente la preferenza per i beni rifugio, al cui vertice troviamo l’oro. Materia prima di cui è ricchissima l’Africa, dimostrando ancora una volta che la disponibilità di ricchezze non si accompagna necessariamente allo sviluppo se non concorrono una serie di condizioni fondamentali a partire da quelle politiche. E qui viene subito alla mente Luigi Einaudi che affermava che la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica.

In questo stato di grande incertezza globale, le prime a mostrare grande preferenza per beni rifugio come l’oro sono proprio le banche centrali le quali hanno tratto grandi vantaggi dalle dinamiche del prezzo dell’oro di questi anni. Attualmente il debito totale mondiale ammonta a 184 mila miliardi di dollari, e una ipotetica copertura aurea di tale debito del 3% conduce a riserve, tra cui quelle auree, pari a 5520 miliardi di euro. Una somma pari a quasi la metà del reddito prodotto in un anno dalla Cina.

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Alla fine del 2017 le riserve valutarie della Banca d’Italia ammontavano a 136 miliardi di dollari, costituite da oro, valute convertibili, Diritti Speciali di Prelievo e posizioni creditorie sul FMI. L’incidenza sul PIL italiano è di circa il 6%. E’ interessante notare che le riserve valutarie mostrano una correlazione positiva molto significativa rispetto alle esportazioni, pari a 0,83 (1 correlazione positiva perfetta). Nell’anno 2017 le nostre esportazioni hanno rappresentato circa il 22% del PIL. Sono pertanto le imprese esportatrici italiane le vere protagoniste di questa grande ricchezza che è rappresentata dalle nostre riserve valutarie, in parte significativa rappresentate da oro.

In una logica di sostegno allo sviluppo industriale nel lungo periodo dovrebbero pertanto essere le imprese che esportano di più a beneficiare in qualche modo delle nostre riserve valutarie. E ciò vale soprattutto in relazione al forte impegno in termini di investimenti che le nostre imprese devono fare per superare la sfida dell’economia digitale che, secondo alcune stime, dovrebbe consentire un aumento della produttività di circa il 30%. Gli investimenti necessari per raggiungere tale obiettivo vengono stimati in circa 20 miliardi euro in cinque anni, quindi circa il 15% delle riserve valutarie.

Un’ipotesi potrebbe essere quella di finanziare tali investimenti delle imprese industriali nell’economia digitale con l’emissione di obbligazioni corporate ad un tasso di interesse abbastanza allettante per i risparmiatori e comunque superiore agli attuali livelli dei tassi di rendimento dei Buoni del Tesoro Poliennali. Tali obbligazioni industriali potrebbero essere garantite dalle riserve valutarie della Banca d’Italia e quindi anche dall’oro. La garanzia sulle obbligazioni dovrebbe essere tuttavia riservata alle imprese industriali che esportano una quota del proprio fatturato superiore al 25%. Ciò in forza del fatto che le imprese esportatrici assidue mostrano un tasso di crescita decisamente superiore alle altre imprese. Inoltre è notevolmente superiore la redditività operativa che verrebbe preservata da un costo del capitale stabile e prevedibile nel medio lungo-termine, grazie all’emissione delle obbligazioni. La struttura temporale dell’indebitamento delle imprese sarebbe molto più equilibrata rispetto alla natura degli investimenti nell’economia digitale che occorre fare per un vero e proprio salto della produttività. Le imprese si renderebbero molto più autonome dalle banche nella copertura dei loro fabbisogni finanziari, uscendo dalla morsa dell’indebitamento bancario a breve termine e dai rischi di razionamento del credito in termini di disponibilità e di tassi di interesse.

Ne guadagnerebbe fortemente la redditività complessiva delle imprese con significativa propensione all’esportazione, consentendo buoni margini di utili e il miglioramento dell’autofinanziamento. Si allarga in definitiva il risparmio d’impresa che è la migliore garanzia per il finanziamento degli investimenti, della crescita e dell’occupazione.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 14 febbraio 2019