Schede CTS

La Cina e la nuova via della seta

La Cina e la nuova via della seta

Si sta discutendo molto nel nostro Paese sui vantaggi e rischi della firma dell’accordo con la Cina sulla nuova via della seta.

In attesa dei primi confronti istituzionali con il Presidente cinese, il Consiglio dei Ministri ha approvato l’estensione della golden power, la facoltà del governo di salvaguardare gli interessi nazionali, assieme alla norma per rendere obbligatoria la notifica da parte di aziende non europee che entrano nella progettazione o gestione della rete 5G (rete di quinta generazione). Una norma che serve anche a placare i timori emersi in ambienti statunitensi su Huawei, in relazione al memorandum di intesa con la Cina firmato sabato 23 marzo a Roma.

In questa scheda ci si propone di effettuare un’analisi dei vantaggi per l’Italia della firma dell’accordo con la Cina sulla nuova via della seta.

Prima di passare all’analisi dei dati, appare opportuno qualche richiamo teorico sui vantaggi degli scambi internazionali. La prima teoria da ricordare è quella dei vantaggi comparati di Ricardo. Facendo riferimento alla versione relativa, si ricorda che nel caso dello scambio tra due Paesi il massimo vantaggio si realizza quando ognuno dei due Paesi si specializza nel settore in cui ha il vantaggio relativo maggiore. Se ad esempio l’Italia ha il vantaggio relativo maggiore nel produrre macchine utensili allora converrà che il Paese si specializzi in questo settore per sé e per le esportazioni verso la Cina. La Cina potrà specializzarsi invece nel settore tessile e abbigliamento nell’ipotesi in cui il suo vantaggio relativo sia maggiore in questo settore. La Cina si specializzerà pertanto in questo settore per sé e per le esportazioni verso l’Italia. E ciò anche se la Cina ha un vantaggio comparato verso l’Italia sia nel settore tessile e abbigliamento che in quello delle macchine utensili.

Sulla base dell’evidenza empirica tale teoria non ci aiuta a spiegare la specializzazione di Italia e Cina basata sui costi, perché interviene un fattore importante che è rappresentato dalla qualità unita alla tecnologia. Ci troviamo così di fronte al fatto che sia l’Italia che la Cina importano ed esportano contemporaneamente sia prodotti tessili e dell’abbigliamento che macchine utensili. Solo la qualità e la tecnologia ci permettono di spiegare questo fenomeno. L’Italia esporta verso la Cina prodotti di qualità del tessile e abbigliamento e della meccanica strumentale e contemporaneamente importa della Cina prodotti che appartengono allo stesso settore per motivi di competitività di costi e prezzi. Da qui l’importanza fondamentale per l’Italia di investire nella qualità e nella tecnologia dei prodotti per essere competitiva con le sue esportazioni.

Il secondo aspetto teorico da ricordare riguarda gli effetti degli scambi internazionali per quanto riguarda la remunerazione dei fattori della produzione. Il teorema di Samuelson del 1948 ci dice che nell’ipotesi di mercati concorrenziali e per date tecnologie, la perfetta mobilità dei beni e l’immobilità dei fattori della produzione conduce al livellamento della remunerazione dei fattori produttivi. Con la globalizzazione e con la mobilità anche dei fattori della produzione, i risultati del teorema di Samuelson dovrebbero valere ancora di più. Rimane il grosso problema delle modalità di convergenza della remunerazione dei fattori della produzione (lavoro e capitale): l’Italia converge verso la Cina?; la Cina converge verso l’Italia?; Cina e Italia convergono verso un valore intermedio?. Guardando i dati sembra che la seconda ipotesi sia quella più probabile. Basti considerare che il rapporto tra il reddito pro capite dell’Italia e quello della Cina era di 5,6 volte nel 1999 e scende a 2,3 volte nel 2017. Un risultato eccezionale per la Cina avvenuto in 18 anni, più che dimezzando le differenze. E’ cresciuta l’importanza delle classi medie cinesi come reddito pro capite e questo aumenta la possibilità di una più elevata domanda dei prodotti italiani di qualità italiani da parte dei cinesi.

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Vediamo ora i principali dati economici della Cina e dell’Italia negli ultimi anni.

Dobbiamo innanzi tutto sfatare alcuni luoghi comuni riguardanti i dati economici della Cina, riguardanti soprattutto i conti con l’estero. I confronti sono effettuati con l’Italia.

Il PIL pro capite della Cina è salito da 3.800 dollari del 1999 ai 16.600 del 2017. La crescita è stata pertanto di 4,4 volte. Il reddito pro capite dell’Italia è invece salito da 21.400 dollari del 1999 a 38.000 del 2017, cioè una crescita di 1,8 volte. Si tratta di un valore che è meno della metà della Cina, conseguenza della forte dinamica del PIL cinese rispetto alla crescita della popolazione in confronto agli sviluppi dell’Italia.

La popolazione cinese è salita tra il 1999 e il 2017 da 1261,8 milioni a 1379,3, cioè 1,09 volte e l’Italia da 57,6 a 62,1 milioni, cioè 1,08 volte. Due sviluppi della popolazione molto allineati, rispetto a tassi di crescita in termini reali della Cina del 9,1% nel 2004 e del 6,8% nel 2017, con una punta nel 2007 pari all’11,9%. La crescita reale dell’Italia è stata dell’1,3% nel 2004, dell’1,5 nel 2017 e dell’1,4% nel 2007.

In definitiva, una dinamica della produttività cinese che è diversi ordini di grandezza superiore a quella dell’Italia, come conseguenza di una crescita della popolazione abbastanza contenuta e di un aumento del reddito in termini reali che supera anche le due cifre. Gli effetti, come già indicato, li vediamo sul reddito pro capite che cresce in Cina di 4,4 volte tra il 1999 e il 2017 e in Italia di 1,8 volte.

Vanno infine sfatati, in questa sintesi di dati, i valori riguardanti gli scambi con l’estero della Cina. Sono stati calcolati i rapporti rispetto al PIL del saldo della bilancia commerciale cinese (esportazioni meno importazioni) e del saldo delle partite corre della bilancia dei pagamenti (merci, servizi e trasferimenti unilaterali). Il saldo positivo delle partite correnti della Cina incideva sul PIL lo 0,4% nel 2004 e lo 0,7% nel 2017. Il picco si registra nel 2008 con un saldo positivo sul PIL pari al 5,3%. Un andamento abbastanza simile si osserva nella percentuale di incidenza sul PIL della Cina della bilancia commerciale: lo 0,5% nel 2004 e l’1,8% nel 2017.

L’Italia ha registrato un deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti rispetto al PIL pari a -1,3% nel 2004 e un avanzo nel 2017 pari al 2,3% del PIL. Migliore è stato l’andamento del saldo della bilancia commerciale rispetto al PIL dell’Italia: 0,4% nel 2004 e 3,1 nel 2017.

Qualche dato sull’interscambio commerciale tra Italia e Cina. Nel 2016 il saldo commerciale dell’Italia rispetto la Cina è stato negativo per 16,2 miliardi di euro. Scende a 14,9 nel 2017 e risale a 17,6 miliardi nel 2018. Le voci più rilevanti delle esportazioni italiane dell’Italia verso la Cina sono nel 2018 le seguenti: macchinari e apparecchiature 3,8 miliardi di euro, articoli in pelle 0,9 miliardi, prodotti chimici 1 miliardo, prodotti farmaceutici 0,9 miliardi. Le voci più importanti delle importazioni italiane dalla Cina sono invece le seguenti: 5,3 miliardi di euro computer e prodotti di elettronica ed ottica, macchinari e apparecchiature 3,6 miliardi, apparecchiature elettriche e per uso domestico 3,5 miliardi, articoli di abbigliamento 2,5 miliardi, prodotti chimici 1,9 miliardi.

Passiamo ora alle considerazioni sulla Cina e la nuova via della seta. Per prima cosa va precisato che il problema del surplus degli scambi con l’estero della Cina non è poi così forte come si vorrebbe fare apparire. La Germania registra avanzi della bilancia commerciale e delle partite correnti della bilancia dei pagamenti rispetto al PIL ben superiori a quelli della Cina: più che il doppio nelle punte.

Le opportunità della nuova via della seta vanno valutate alla luce degli interessi a livello dello scacchiere mondiale che possiamo osservare. E’ utile partire dagli anni in cui i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) registravano tassi di crescita del reddito vicini o superiori alle due cifre percentuali. Questo aveva acceso grandi speranze in questi Paesi sullo scacchiere politico ed economico mondiale, ma poi è sopraggiunta la crisi del 2007-2008, durata una decina d’anni, e tutto è diventato più difficile. In questo periodo i Paesi BRICS hanno cominciato a lanciare l’idea della via della seta con grandi infrastrutture materiali e immateriali di collegamento e la costituzione di una Banca di Investimenti per il finanziamento delle infrastrutture stesse.

Rispetto a questa tendenza è stato poi lanciato su iniziativa americana il TPP (Trans Pacific Partnership), da cui però gli Stati Uniti si sono ritirati all’inizio del 2017 su iniziativa del Presidente Trump. Da qui inizia una nuova era perché il Presidente americano dichiara ufficialmente di non avere più fiducia nel multilateralismo e nelle sue istituzioni politiche e finanziarie nate con gli accordi di Bretton Woods per puntare sul bilateralismo. Seguono le politiche sui dazi all’importazione per difendersi contro l’invasione dei prodotti cinesi ed europei e la deindustrializzazione degli Stati Uniti d’America (America first). Si lancia nel contempo la politica del reshoring con l’obiettivo di riportare sul territorio americano una parte della manifattura emigrata all’estero, riducendo la disoccupazione.

Di fronte a questi svolgimenti l’Europa rimane sostanzialmente passiva, salvo introdurre sanzioni nei confronti della Russia. Una politica quest’ultima, a dire poco sciagurata, dati gli intensi rapporti economici commerciali che sempre storicamente ci sono stati tra l’Europa e la Russia, a partire dalla Germania. Keynes, nella splendida monografia del 1919 sulle conseguenze economiche della pace, aveva già messo in evidenza che l’Europa volendo danneggiare la Russia finiva per danneggiare se stessa e che bisognava avere una diversa visione del mondo. L’Italia, prima timidamente e poi con più decisione, ha messo in evidenza l’assurdità della politica dell’Unione Europea nei confronti della Russia. Il nostro Paese è stato per questo visto con sospetto dall’Unione Europea, soprattutto dalla Germania e dalla Francia.

La mossa della Cina nei confronti dell’Italia con la nuova via della seta spiazza naturalmente i due Paesi più forti dell’Unione Europea e cioè la Germania e la Francia e, in parte, anche la politica di Trump. Non bisogna dimenticare che l’Italia è il ponte verso l’Africa e che da qui al 2050 i grandi giochi mondiali si faranno sul continente africano che raggiungerà i 2,5 miliardi di persone. La Cina l’ha capito da tempo e da anni sta investendo moltissimo in Africa. Questo preoccupa soprattutto la Francia che ha sempre avuto e continua ad avere forti interessi economici di matrice coloniale in Africa. Pensiamo solo ai 14 Paesi africani che sono legati alla Francia attraverso il Franco CFA.

La mossa della Cina e dell’Italia riguardante la nuova via della seta appare pertanto di grande interesse per tre motivi fondamentali. Primo perché si conferma l’importanza strategica dell’Italia sul Mediterraneo come ponte verso l’Africa. Secondo perché in questo modo si smuovono le stagnanti acque dell’Unione Europea e la visione negativa nei confronti dei Paesi del Sud dell’Unione e, in particolare, dell’Italia. Terzo perché l’Italia è un grande Paese industriale, con un interessante modello di specializzazione fondato sulla qualità e sulle piccole e medie imprese, e con significative possibilità di sviluppo sulla scena mondiale e quindi con la grande economia cinese.

Italia e Cina devono «impostare relazioni più efficaci e costruire migliori rapporti, che sono già molto buoni», ha affermato il Presidente Conte nel corso della bilaterale con Xi. «L’incontro è stato proficuo — ha sottolineato — e ci permette di guardare con rinnovato interesse», rimarcando come i due paesi esprimano «due civiltà millenarie». La nuova via della seta è un progetto lanciato nel 2013 dallo stesso Xi per una “cintura economica” e una “cintura marittima” sotto la dizione «Una strada, una cintura», poi comunemente ribattezzata Belt and Road initiative. A oggi, oltre sessanta paesi e 29 organizzazioni internazionali hanno firmato il memorandum d’intesa per aderire all’iniziativa o hanno manifestato la loro intenzione di farlo.

Due delle intese italiane riguardano i porti di Trieste e Genova. Nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia, l’accordo riguarda la cooperazione tra l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale - Porti di Trieste e Monfalcone e la China Communications Construction Company (Cccc). Nel capoluogo ligure, l’intesa è tra il commissario straordinario per la ricostruzione di Genova, l’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale e la stessa Cccc.

In occasione della visita di Xi in Italia, Suning Holdings Group, azienda inserita nel ranking Fortune Global 500, e Italian Trade Agency hanno firmato un accordo per potenziare le esportazioni di prodotti made in Italy in Cina. Si stima un aumento delle esportazioni italiane verso la Cina fino a 20 miliardi di euro, pari all’attuale deficit commerciale italiano.

Grazie a questo accordo, Italian Trade Agency supporterà i marchi del made in Italy nell’accesso al mercato cinese, caratterizzato da una rapida crescita, anche grazie all’esperienza di Suning nel mondo della vendita al dettaglio.

Nei prossimi tre anni, Suning aprirà 150 negozi smart retail dedicati a una nuova esperienza di consumo nelle principali città della Cina, e aprirà un Padiglione Italia, aiutando i marchi italiani ad accedere al mercato nazionale.

Una notazione finale per quanto riguarda la Cina è utile fare con riferimento all’accordo provvisorio con il Vaticano sulla nomina dei vescovi cinesi. E’ un segno interessante che può essere utilmente accostato al memorandum che l’Italia ha firmato con la Cina sulla nuova via della seta.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 25 marzo 2019