Schede CTS

Welfare aziendale tra solidarietà e sussidiarietà

Welfare aziendale tra solidarietà e sussidiarietà

Negli ultimi anni vi è stato un notevole sviluppo del welfare aziendale nel nostro Paese, anche sotto la spinta degli incentivi fiscali introdotti con la Legge Finanziaria del 2016.

Il nostro interesse come Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID) ad analizzare questo tema nasce da due ragioni fondamentali. La prima, perché esso si collega a due valori fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa: la solidarietà e la sussidiarietà. La seconda ragione per le evidenze empiriche che provengono dal territorio, testimoniate da specifiche ricerche pubblicate nella Collana “UCID Imprenditori Cristiani per il Bene Comune”, di cui si parlerà in seguito.

Il valore della solidarietà fa riferimento ad un sistema di welfare di tipo centralizzato (Welfare State) gestito da strutture statali ( in primis, INPS e Servizio Sanitario Nazionario Nazionale). Il welfare sussidiario fa invece riferimento alle imprese e al principio che non è bene che l’attività di previdenza e assistenza venga fatta da un ente superiore (Stato e sue articolazioni) se un ente inferiore è in grado di farlo (imprese e famiglie).

Per il raggiungimento del “bene comune”, questi due grandi valori della Dottrina Sociale della Chiesa devono essere in equilibrio perché la solidarietà senza la sussidiarietà crea statalismo, appiattimento dell’iniziativa privata e burocratismo che ingessano le possibilità di sviluppo dei sistemi economici e sociali. Ma anche la sussidiarietà senza la solidarietà non crea “bene comune” perché prevalgono l’egoismo, il disinteresse per l’altro e la tendenza a guardare solo il locale ed il particolare. Ecco il motivo per cui questi due grandi valori devono muoversi in equilibrio per la creazione del “bene comune”.

Noi abbiamo avuto esperienze di sistemi centralizzati a livello statale della gestione della previdenza e dell’assistenza in cui è prevalso il principio di solidarietà rispetto a quello di sussidiarietà, come mostrano i dati della dilatazione dell’intervento dello Stato in economia, per lo meno a partire dalla prima guerra mondiale. Allora la spesa pubblica sul reddito nazionale pesava in media il 15%, oggi superiamo il 50%. Naturalmente questa tendenza ha portato con sé una parallela crescita della pressione fiscale con effetti negativi sulle potenzialità di sviluppo dell’economia.

Le cose, come detto, stanno cambiando con il welfare aziendale in cui la sussidiarietà è un valore che si diffonde nelle imprese di tutte le dimensioni, sia pure con modalità diverse, e pertanto i due valori della solidarietà e della sussidiarietà tendono ad un migliore equilibrio. Sono processi lenti però che richiedono tempo.

Dalle ricerche svolte sul campo dall’UCID emerge che il welfare sussidiario si sta diffondendo sempre di più sia nelle grandi imprese che nelle piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura del nostro sistema economico e sociale.

In una prima ricerca sono state intervistate oltre cinquanta imprese della Provincia di Torino del settore manifatturiero: piccole, medie, grandi. Gli ambiti della ricerca sul welfare aziendale sono stati i seguenti: interventi sui tempi e i luoghi di lavoro; interventi riguardanti gli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro; i servizi che favoriscono il risparmio di tempo; gli interventi riguardanti le forme extra della remunerazione; gli interventi di consulenza e sostegno; gli strumenti di comunicazione; i servizi alla famiglia; la promozione della salute e del benessere; le iniziative di tempo libero; i momenti di socializzazione delle famiglie dei dipendenti con l’azienda.

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Ecco in sintesi i risultati dell’indagine campionaria:

Forte preferenza per il part time, i permessi parentali, e l’orario flessibile. Le percentuali crescono con l’aumento della dimensione delle imprese, tranne che nel caso dei permessi parentali. Il telelavoro si colloca ad una percentuale significativa che cala all’aumento della dimensione delle imprese. L’accesso ai supermercati per risparmiare tempo è indicato con una percentuale piuttosto elevata e crescente all’aumentare della dimensione delle imprese del campione. Interessanti sono le risposte relative alle forme di remunerazione extra. Il premio di produzione si colloca decisamente al primo posto con livelli simili in tutte le dimensioni delle imprese (piccole, medie, grandi). Seguono, in ordine di importanza, l’avanzamento di carriera, le erogazioni liberali, i prestiti economici, i premi per le idee innovative. Gli interventi a sostegno dei dipendenti per la soluzione dei loro problemi mostrano il primo posto della consulenza fiscale, seguita dal tutor per l’apprendistato e la consulenza legale.

Le relazioni e comunicazione mostrano il primo posto di intranet. Seguono la Newsletter e il mentoring. Le preferenze riguardanti la famiglia indicano il primo posto delle borse di studio per i figli e al secondo le indennità aggiuntive per maternità. Per quanto riguarda la promozione della salute e del benessere spicca decisamente il primo posto dei fondi sanitari integrativi, seguiti dalle sale mediche di primo intervento e prevenzione e dalle spese dentistiche ed oculistiche. Le incidenze salgono con l’aumento della dimensione delle imprese. Le iniziative per il tempo libero vedono al primo posto quelle sportive, seguite dalle palestre e dai centri culturali.

I momenti di aggregazione e incontro tra famiglia e impresa sono significativamente apprezzati con un aumento sostenuto al crescere della dimensione delle imprese.

A conferma che il welfare è diffuso, sia pure con modalità diverse, non solo nella grande impresa ma anche nelle piccole e medie imprese, l’UCID ha curato anche una ricerca nella Provincia di Padova riguardante una decina di piccole imprese. Viene confermata una politica della flessibilità nella gestione degli orari di lavoro e della concessione dei permessi. Interessanti sono gli esempi di autogestione nell’organizzazione dei turni da parte dei dipendenti, nel rispetto delle esigenze aziendali dell’efficienza organizzativa. Altri esempi interessanti riguardano gli asili nido e le abitazioni dei lavoratori, soprattutto immigrati. Nel primo caso i servizi degli asili nido vengono offerti non solo ai figli dei dipendenti ma anche ai figli delle comunità locali in cui risiede l’impresa. Nel secondo caso, sono state superate le difficoltà riguardanti il reperimento di alloggi in affitto da parte degli immigrati con l’acquisto di appartamenti effettuato dall’impresa e la concessione in affitto ai dipendenti immigrati a canoni contenuti.

E’ quindi evidente il graduale spostamento dal Welfare centralizzato (Welfare State) al welfare aziendale, con un rapporto sempre più diretto con le famiglie dei lavoratori e le loro necessità.

Tutto questo naturalmente pone dei problemi con riferimento ai sistemi di prevenzione sociale e assistenza sanitaria. E’ noto da anni il passaggio graduale, in relazione alle modifiche demografiche, dai sistemi di previdenza sociale a ripartizione (solidarietà) ai sistemi a capitalizzazione (sussidiarietà) che si affianca al passaggio dai sistemi retributivi a quelli contributivi.

Un punto cruciale di questo passaggio riguarda il tasso di interesse e il rendimento del capitale. Se questi calano fortemente si determina un forte conflitto intergenerazionale tra le persone che sono in pensione e quelle che lavorano e che andranno in pensione in futuro. Con il forte calo dei rendimenti del capitale, entra in crisi il sistema a capitalizzazione e contributivo, per cui per avere una pensione dignitosa quelli che devono andare in pensione devono accumulare di più in termini di contributi e andare in pensione più tardi. Facciamo un esempio molto semplice. Poniamo una persona che versa 4 mila euro all’anno di contributi pensionistici per 40 anni, da 25 a 65 anni. Al tasso di rendimento del 2% annuo, il capitale accumulato a scadenza è di 241.608 euro, con la possibilità di un vitalizio annuo fino a 85 anni di età di 8.833 euro annui, cioè 680 euro mensili per tredici mensilità. Una pensione quindi che non consente di arrivare alla fine del mese. Facciamo lo stesso esercizio con un rendimento del 5% annuo. Il vitalizio annuo sale a 28.171 euro, pari a 2.167 mensili per tredici mensilità. E’ la stupefacente azione della capitalizzazione composta di cui parlava Keynes.

Nel bel mezzo di questo passaggio, è scoppiata la doppia crisi iniziata nel 2007-2008: quella finanziaria e poi la crisi dei debiti sovrani che ha costretto la Banca Centrale Europea (BCE) ad azzerare i tassi di interesse, abbassando di conseguenza in modo forte i rendimenti finanziari. Una vera e propria bomba per i sistemi pensionistici a capitalizzazione verso cui ci siamo incamminati, spingendo in alto il conflitto intergenerazionale tra chi è in pensione e chi deve ancora andare. Le politiche monetarie della BCE hanno messo in crisi i sistemi pensionistici, già con problemi per le modifiche di tipo demografico conseguenti all’allungamento della vita media delle persone.

Una domanda sorge subito. Ma qual’è il livello di equilibrio del tasso di interesse? In generale, la scienza economica ci dice: quando abbiamo l’uguaglianza tra tasso di interesse che si determina nel settore finanziario dell’economia e il tasso di rendimento del capitale che si determina nel settore reale dell’economia.

Sta di fatto che la BCE è stata costretta a condurre la politica monetaria che ha condotto per salvare il sistema, ma causando un forte conflitto tra generazioni, a vantaggio di quella anziana e a svantaggio di quella giovane.

La BCE è stata costretta ad intervenire pesantemente sul mercato delle attività finanziarie per fronteggiare i guasti dell’enorme debito pubblico e privato accumulato in passato. Ora in qualche modo si dovrà uscire, sia pure gradualmente, da questa situazione, tornando a fare svolgere al tasso di interesse la fondamentale funzione di selezione degli investimenti per un sano sviluppo del reddito e dell’occupazione in un’ottica di lungo periodo.

Chiudiamo questa scheda con alcune considerazioni di tipo microeconomico sul welfare aziendale sussidiario. I punti da sottolineare sono i seguenti: nessuna impresa è uguale all’altra e occorre quindi conoscere prima di deliberare, come ci ricorda Luigi Einaudi. Bisogna quindi iniziare studiando a fondo la realtà dell’impresa e poi fissare gli obiettivi. La popolazione aziendale va studiata in tutti i suoi aspetti: di genere, per età, il grado di istruzione, la situazione famigliare e così via. Individuare le modalità di finanziamento del piano di welfare: liberalità pura; accordi di secondo livello di tipo aziendale e sindacale; la conversione in welfare, in parte o completa, del premio di risultato. Se l’azienda e i sindacati hanno concordato iniziative di welfare regolamentate e vincolanti per l’impresa, le spese frutto di un accordo di secondo livello sono totalmente deducibili dal reddito d’impresa e da quello del dipendente. La defiscalizzazione ha un limite di 3 mila euro all’anno e di 4 mila per le aziende che coinvolgono pariteticamente i dipendenti nell’organizzazione del lavoro.

Fondamentale è infine la valutazione degli effetti delle misure di welfare aziendale sulla performance aziendale, con parametri quantificabili e misurabili. Si tratta della produttività, del miglioramento della redditività dell’impresa, del miglioramento della competitività, del miglioramento del clima relazionale all’interno dell’impresa, della conciliazione tra lavoro e famiglia. In questo modo, come ci ricorda Giovanni Paolo II nella Centesimus annus del 1991, l’impresa diventa una comunità di persone in cui l’imprenditore esercita la sua autorità non come potere ma come servizio per la costruzione del bene comune.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma,