Schede CTS

L'Euro e il "bradisimo" di Fazio

L'Euro e il "bradisimo" di Fazio

Antonio Fazio, già Governatore della Banca d’Italia, ha ribadito, in una recente intervista, le sue perplessità riguardanti l’entrata dell’Italia nell’euro.

Secondo Fazio, i fondamentali della nostra economia erano troppo lontani da quelli delle economie con cui costruire la moneta unica e ciò avrebbe determinato un pericoloso bradisismo verso l’insostenibilità dell’euro. L’economia da cui eravamo più lontani era certamente quella tedesca e quindi era cruciale il tasso di cambio della lira rispetto al marco.

In premessa all’intervista, Fazio ritiene che l’introduzione del limite dei sei anni per la carica di Governatore, con non più di un rinnovo, ha ristretto l’autonomia della Banca d’Italia.

Ma veniamo ai ragionamenti di Fazio fondati su una vasta evidenza empirica.

Primo punto. L’Italia cresce meno di tutti gli altri Paesi aderenti alla moneta unica, dopo essere uscita da tassi di crescita negativi del prodotto interno lordo (PIL) in seguito alla grave crisi del 2008.

Secondo punto. Quali sono le cause di questa fondamentale depressione economica dell’Italia? La produttività dell’Italia è bassissima rispetto soprattutto alla Germania. E questo fatto combinato con un costo del lavoro elevato, a causa del cuneo fiscale, determina una dinamica sfavorevole del costo del lavoro per unità di prodotto e quindi una bassa competitività delle nostre esportazioni. Le esportazioni sono certamente cresciute, ma ad un tasso decisamente inferiore a quello dei nostri principali concorrenti europei e, in primis, della Germania.

E’ stato in ogni caso un miracolo che abbia retto in qualche modo la domanda estera perché questo fatto ha compensato in qualche modo il contributo negativo alla crescita del PIL della domanda interna per consumi investimenti. Altrimenti gli effetti sull’occupazione sarebbero stati disastrosi. Gli investimenti dell’Italia sono sempre più insufficienti, soprattutto per quanto riguarda il Mezzogiorno. Non parliamo degli investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali che, come evidenziano i recenti fatti dolorosi, costituiscono il punto di debolezza del nostro processo di accumulazione e sviluppo e delle sue condizioni generali.

Nella spiegazione del bradisismo, Fazio ricorda anche la questione del cambio della moneta che con l’euro non ha più potuto svolgere la funzione di recupero di competitività dell'Italia di fronte ai numerosi differenziali strutturali negativi rispetto agli altri Paesi. L’entrata nell’euro a quota 990 lire per marco non poteva essere sostenibile per un Paese come l’Italia, favorendo soprattutto la Germania come hanno mostrato i crescenti avanzi commerciali sull’estero accumulati rispetto al PIL che si sono avvicinati al 10%, rispetto al 6% consentito dalle regole dell’Unione Europea.

Dopo questa analisi che sta alla base del “bradisismo” di cui parla Fazio, si passa nell’intervista ad una valutazione della politica monetaria della Banca Centrare Europea (BCE), alla luce dei due obiettivi fondamentali della crescita e del tasso di inflazione (regola di Fisher). Il primo obiettivo è del tutto assente a differenza, ad esempio, della politica monetaria della Federal Reserve americana, mentre tutta la politica è stata concentrata nella lotta alla deflazione per avvicinarsi ad una variazione positiva dei prezzi del 2%.

antonio fazio1

Fazio critica infine la politica del Quantitative Easing (QE), che ha fatto spendere alla BCE migliaia di miliardi di euro per acquistare i titoli del debito pubblico degli Stati aderenti alla moneta unica e titoli del debito privato. Le stesse risorse avrebbero potuto essere spese molto più proficuamente per una politica di sviluppo dell’Unione Europea, acquistando titoli per il finanziamento di investimenti soprattutto nelle infrastrutture materiali e immateriali. E’ in sostanza quello che già aveva proposto il Ministro del Tesoro italiano Giulio Tremonti con i famosi eurobonds. Proposta clamorosamente bocciata, soprattutto per la posizione contraria della Germania.

L’idea era stata poi ripresa dal piano Juncker. Dall'inizio della crisi economica e finanziaria mondiale l'Unione Europea risente di bassi livelli di investimento. Secondo il piano, è necessario un impegno collettivo e coordinato a livello europeo per invertire questa tendenza al declino e riportare l’Europa sul cammino della ripresa economica. Sarebbero disponibili livelli adeguati di risorse, che dovrebbero essere mobilitate in tutta l'Unione Europea a sostegno degli investimenti.

Il piano di investimenti per l’Europa, il cosiddetto piano Juncker, ha tre obiettivi: eliminare gli ostacoli agli investimenti; dare visibilità e assistenza tecnica ai progetti di investimento; fare un uso più adeguato delle risorse finanziarie. In quanto tale, il piano si compone di tre pilastri: a) in primo luogo, il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS), che mira a mobilitare gli investimenti privati mediante la garanzia dell'Unione Europea. La Commissione collabora con il suo partner strategico, il gruppo della Banca Europea per gli Investimenti (BEI); b) in secondo luogo, il Polo europeo di consulenza sugli investimenti e il Portale dei progetti di investimento europei, che forniscono assistenza tecnica e danno maggiore visibilità alle opportunità di investimento contribuendo a tradurre in realtà i progetti proposti. Il Polo è un’impresa comune con il gruppo BEI; c) in terzo luogo, migliorare il contesto imprenditoriale eliminando gli ostacoli normativi agli investimenti, sia a livello nazionale che a livello di Unione Europea.

Come si vede, un insieme solo di buone intenzioni mai realizzate. Così l’Europa, come ha affermato Benedetto XVI, non è stata in grado di avviare un nuovo modello di sviluppo capace di creare benessere per tutti i cittadini europei, uscendo inesorabilmente dalle grandi traiettorie della storia.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 22 ottobre 2018