Schede CTS

Strategie d'impresa per il bene comune (SIBC)

Quali sono gli obiettivi dell’impresa?

 

Secondo Friedman l’unico obiettivo dell’impresa deve essere la massimizzazione dei profitti e la creazione di valore per gli azionisti. E’, secondo Friedman, l’unica responsabilità sociale dell’impresa e tutto il resto è eversione.

La massimizzazione del profitto, nel rispetto naturalmente della legge, porterebbe, secondo Friedman, al benessere generale. Contrario a questa visione è Stiglitz che afferma che solo in casi particolari la massimizzazione del profitto porta all’efficienza economica e al benessere generale. E cio’perchè i mercati non solo omogenei ed esistono le asimmetrie informative.

Giunge quindi Freeman che afferma che la responsabilità dell’impresa non è solo nei confronti degli azionisti (shareholders) ma anche nei confronti di tutti gli altri portatori di interesse (stakeholders): dipendenti, comunità locali, istituzioni locali, clienti, fornitori, ambiente. Tutti questi soggetti contribuiscono alla creazione di valore condiviso, come affermano Porter e Kramer in un famoso articolo del 2011 apparso sulla Rivista Harvard Business Review.

Gli strumenti più noti della Responsabilità Sociale dell’Impresa (RSI) sono i codici etici, i bilanci etico-sociali, la certificazione ambientale e così via. Si tratta tutta via di semplici distintivi esteriori che non hanno nulla a che fare con il comportamento etico che innerva dall’interno l’impresa con riferimento alle strategie, ai processi organizzativi e gestionali. Abbiamo purtroppo molti esempi di imprese sia italiane che straniere che avevano il codice etico e poi hanno commesso dei veri e propri furti nei confronti dei risparmiatori e degli altri portatori di interesse dell’azienda.

Lo aveva già messo in evidenza alla fine dell’ottocento il beato Giuseppe Toniolo. E’ la business etichs di stampo anglosassone da cui l’UCID si è smarcata in modo deciso creando invece il paradigma delle Strategie d’Impresa per il Bene Comune (SIBC), innervando con l’etica i comportamenti interni aziendali: strategie, organizzazione, gestione.

Uno sviluppo della SIBC è rappresentato dal rating sociale che misura la probabilità che l’impresa entri in conflitto con uno o più dei suoi stakeholder, ad esempio l’ambiente. Tale conflitto può portare alla chiusura dell’azienda: pensiamo al caso ILVA.

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Nel modello dell’UCID esistono tre categorie di rischi: quello finanziario che riguarda l’incapacità dell’impresa di fare fronte ai propri impegni di pagamento; il rischio economico che riguarda la probabilità che l’impresa ha di entrare in crisi nel settore in cui opera; il rischio sociale di cui si è già detto.

L’UCID ha elaborato un modello per la misurazione del Grado di Rischio Sociale dell’Impresa (GRSI) sulla base dei diversi portatori di interesse e dei loro ambiti di attività: dipendenti, comunità locali, istituzioni locali, clienti, fornitori, ambiente, azionisti, ambiente.

In base al rating sociale, opportunamente misurato, l’impresa può essere meno rischiosa ed avere quindi un rating sociale migliore che dovrebbe consentirgli un più largo accesso al credito, sia come disponibilità che come costo (tasso di interesse).

Dal 2016 si assiste nel nostro Paese ad una notevole diffusione del welfare aziendale, anche sotto la spinta di significativi incentivi fiscale. Vediamo qui applicato il principio di sussidiarietà ma anche quello di solidarietà a livello microeconomico. Questa tendenza dovrebbe portare ad una riduzione del Welfare State (soprattutto Previdenza e Assistenza) e a una riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale.

L’UCID possiede un paio di evidenze empiriche riguardanti la diffusione del welfare aziendale a livello sia di grandi imprese che di piccole e medie imprese. La prima indagine campionaria fa riferimento ad una cinquantina di imprese piccole, medie e grandi della Provincia di Torino. In evidenza appaiono i tempi e i luoghi di lavoro. E’ particolarmente apprezzata la flessibilità dei tempi di lavoro, il part time, come pure i congedi parentali. Su percentuali più basse si colloca la preferenza per il telelavoro, con una maggiore incidenza delle piccole e medie imprese. Per quanto riguarda le forme di remunerazione extra, al primo posto troviamo il premio di rendimento, seguito dagli avanzamenti di carriera e dai corsi di formazione e aggiornamento. Anche i servizi che consentono di ridurre il tempo per gli acquisti ai supermercati, i servizi di banca e postali trovano una significativa preferenza. Alte sono le percentuali riguardanti la preferenza per le polizze sanitarie integrative, le spese mediche, quelle dentistiche ed oculistiche. Da segnalare le facilitazioni per le spese scolastiche dei figli e le borse di studio. Anche gli strumenti di relazione aziendale come intranet incontrano una notevole preferenza, come pure i momenti di incontro delle famiglie con l’azienda in particolari momenti dell’anno.

La seconda indagine fa riferimento ad una decina di imprese manifatturiere e di servizi di piccole dimensioni della Provincia di Padova. Essa conferma che il welfare aziendale è diffuso ampiamente anche nelle imprese di piccola dimensione, sia pure con modalità diverse. Da segnalare l’autogoverno dei lavoratori per quanto riguarda i turni di lavoro nel rispetto dell’efficienza organizzativa dell’impresa e dell’economicità. Altri esempi riguardano gli asili nido con servizi offerti non solo ai figli dei dipendenti ma anche alle comunità in cui è inserita l’azienda. Un altro servizio di welfare aziendale riguarda gli alloggi degli immigrati, spesso difficili da trovare in affitto sul mercato. Per questo alcune aziende hanno acquistato appartamenti, poi affittati a canoni contenuti ai dipendenti immigrati.

In definitiva, la globalizzazione e l’accelerazione del progresso scientifico e tecnico ha allargato notevolmente il significato della responsabilità sociale dell’impresa sia come creatrice che distributrice di ricchezza per il bene come. Questo è un concetto ben sottolineato da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Per questo abbiamo bisogno di una nuova teoria dell’impresa che superi l’impostazione economica neoclassica e i valori della Dottrina Sociale della Chiesa possono dare u grande contributo in questa direzione.

Se i dipendenti e tutti gli altri stakeholders dell’azienda stanno bene è tutta l’azienda a trarne vantaggio, anche in termini di produttività e di economicità. In questo modo, come già mettevano i evidenza i nostri migliori economisti della scuola aziendale italiana dei primi anni cinquanta, il valore economico e il valore etico dell’impresa tendono a convergere nel lungo periodo.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 22 marzo 20219