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La finanza internazionale come cervello dell'economia e la supremazia sulla politica

La finanza internazionale come cervello dell'economia e la supremazia sulla politica

L'idea della finanza come cervello dell’economia si fece strada in modo particolare con Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi e Mario Draghi. Tale filosofia portò alla decisione di entrare nell’euro, nella convinzione che partendo dalla moneta tutto poi sarebbe seguito nella costruzione dell’Unione Europea. E’ la famosa teoria funzionalista che oggi sta incontrando grosse difficoltà perché un’Europa fondata sulla moneta e sulle banche ci ha portato in un vicolo cieco da cui ora bisogna uscire, cercando in futuro di costruire l’Europa dei cittadini.

Ma andiamo con ordine. L’origine della concezione della finanza come cervello dell’economia può essere fatta risalire a Carlo Azeglio Ciampi, quando era Governatore della nostra Banca Centrale, con il famoso divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Era il 1981 e Ministro del Tesoro era Beniamino Andreatta. Questa operazione costò all’Italia quasi la metà dell’attuale debito pubblico, con problemi enormi che si sono aggravati con l’entrata dell’Italia nell’euro. Prima del divorzio, la Banca d’Italia doveva acquistare i titoli del debito pubblico non collocati in asta. Il venir meno di questo obbligo da parte della Banca d’Italia poggiava sulla convinzione che il potere politico sarebbe stato costretto a limitare la spesa pubblica. Ma, come, sappiamo, ciò non è avvenuto e la spesa pubblica ha continuato a crescere senza il dovuto controllo attraverso il ricorso al debito e il pagamento di interessi superiori, in alcuni periodi, anche a due cifre.

L’idea di fondo era che la politica non era in grado di fare gli interessi del Paese e che quindi era necessaria un’autorità esterna in grado di farlo. Questa autorità esterna era la finanza, interna o internazionale. Questa visione illuministica del mondo è continuata con l’adesione dell’Italia alla moneta unica, sotto la grande spinta di Ciampi e Prodi. La politica italiana – si diceva - non è in grado di fare gli interessi dell’Italia e per questo abbiamo bisogno di un’autorità esterna che ci costringa a farlo. Si tratta dell’Unione Europea e dei mercati internazionali della finanza.

Indicazioni interessanti in questa chiave di lettura si hanno osservando la struttura evolutiva del nostro debito pubblico.

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Il primo dato che ci colpisce è proprio la progressiva riduzione della quota di debito, sia in termini assoluti che in termini percentuali, in mano ai risparmiatori italiani. Naturalmente, un debito pubblico prevalentemente in mano ai risparmiatori italiani non presenterebbe la spada di Damocle che abbiamo oggi sulla testa attraverso gli investitori internazionali che pretendono di condizionare il nostro Paese e in particolare la politica, frutto di libere elezioni da parte dei cittadini italiani. Lo strumento di condizionamento è rappresentato dal famoso spread, cioè dalla differenza tra i rendimenti dei Buoni del Tesoro decennali italiani e quelli degli analoghi titoli tedeschi (Bund).

E’ la finanza che è il cervello dell’economia, con la pretesa di condizionare la politica. Pertanto o i Governi nazionali sono proni ai dettati dell’Unione Europea e delle sue istituzioni, oppure le difficoltà che si incontrano sono davvero enormi, come mostra in generale l’attuale esperienza di Governo. Si sacrifica cosi il primato della politica e il volere della maggioranza dei cittadini.

Ma torniamo ai numeri. La quota degli investitori nazionali del nostro debito pubblico è crollata dal 57 al 6%. Diminuiscono fortemente i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) e i Certificati di Credito del Tesoro (CCT), che erano preferiti da parte dei risparmiatori italiani. Subiscono invece un balzo i Buoni del Tesoro Poliennali (BTP), arrivando al 72% dello stock dei titoli di Stato. Questi titoli sono in prevalenza in mano ad investitori stranieri, con un condizionamento feroce della politica italiana attraverso la manovra dello spread. Naturalmente tutto questo si collega poi alla valutazione del rischio-Paese da parte delle società internazionali di rating. Si tratta di un vero e proprio cappio attorno alla testa dei Paesi che partecipano alla moneta unica e, in particolare, dei Paesi del Sud Europa. Il cappio è costituito da un aumento dello spread e dal conseguente declassamento del rating riguardante il rischio Italia.

Dobbiamo allora chiederci come si pone la Dottrina Sociale della Chiesa di fronte a questa visione del mondo che professa la “religione laica” della finanza come cervello dell’economia che controlla tutto, compresa la politica nei cui confronti si manifesta una grande sfiducia nella capacità di creare sviluppo per il bene comune.

La Dottrina Sociale della Chiesa condanna aspramente questa impostazione, considerando la politica la più alta forma di carità per lo sviluppo e la costruzione del bene comune. La carità è la massima espressione della giustizia che costituisce uno degli obiettivi fondamentali della politica.

La condanna della finanza come cervello dell’economia la troviamo in particolare nella Quadragesimo anno del 1931 di Pio XI, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013 di Papa Francesco, ma anche nella Caritas in veritate di Benedetto XVI e nelle altre encicliche sociali della Chiesa.

Ecco il passo di condanna della Quadragesimo anno di Pio XI: “Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano a pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento”.

Papa Francesco nel capitolo secondo della Evangelii gaudium dedicato ai problemi sociali, dice no a un’economia dell’esclusione, alla nuova idolatria del denaro, ad un denaro che governa invece di servire, all’inequità che genera violenza. Il no più significativo, in questo contesto di finanza come cervello dell’economia, ci sembra quello del rifiuto di un denaro che governa invece di servire. Il denaro deve essere al servizio dello sviluppo per la costruzione del bene comune e non per il controllo di ogni attività della vita dell’uomo, compresa la politica. Solo così si mira allo sviluppo umano integrale, mantenendo l’uomo al centro dei processi di sviluppo, con i suoi inalienabili valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 17 dicembre 2018