Schede CTS

Cosa può riservarci l'attuale recessione?

Cosa può riservarci l'attuale recessione?

L’economia mondiale è entrata in recessione. Ci sono aree geografiche più colpite e aree meno colpite. Sta di fatto che il commercio mondiale è in significativo rallentamento e questo colpisce soprattutto Paesi come l’Italia in cui il contributo delle esportazioni nette alla crescita del reddito e dell’occupazione è fondamentale. Un discorso analogo vale per la Germania che presenta un surplus commerciale della bilancia dei pagamenti più elevato di tutti i Paesi dell’Unione Europea.

Una domanda ricorrente è cosa ci riserva questa recessione. Ci si chiede se essa non possa preludere ad una nuova lunga crisi, come è avvenuto per quella iniziata nel 2007-2009. Ci sono purtroppo segnali preoccupanti come quello del debito pubblico e privato a livello mondiale che ha raggiunto il 225% del PIL del mondo intero. Alcuni parlano di trappola del debito che riguarda soprattutto gli Stati Uniti d’America, ma anche altri Paesi. C’è naturalmente un problema di diverso peso del debito pubblico e privato e uno che riguarda i possessori del debito in mano ai residenti e ai non residenti. Il diverso peso di tali distribuzioni nei vari Paesi determina naturalmente il grado di pericolosità della trappola del debito. L’inflazione non sta aiutando la soluzione del problema perché abbiamo tassi che a mala pena si avvicinano al 2%. Inoltre, un clima sostanzialmente deflazionistico frena la domanda di beni di consumo e di investimento e quindi il tasso di crescita dell’economia e l’occupazione.

In questa situazione le politiche monetarie hanno le mani legate per gli effetti dirompenti che potrebbero avere i rialzi dei tassi di interesse in relazione ad un debito che è quasi 2,5 volte il reddito mondiale prodotto ogni anno.

I segnali di recessione sono stati anticipati dalle quotazioni di tutte le borse e, in particolare, di quella americana. L’indice Dow Jones nelle ultime 52 settimane è sceso da un massimo di 26.952 a un minimo di 21.713, con una perdita del 19,4%. Ma azioni come quelle di Apple hanno perso in 52 settimane addirittura il 39,2%. La Apple ha perso circa 300 miliardi di dollari di capitalizzazione, pari a oltre il 14% del prodotto interno lordo dell’Italia, ai tassi di cambio correnti.

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Naturalmente questa caduta delle borse determina degli “effetti ricchezza” sulla domanda, sia diretti che indiretti. Effetti negativi diretti soprattutto sulla domanda di beni di consumo, perché il valore della ricchezza delle famiglie si contrae, e indiretti attraverso il meccanismo delle garanzie offerte agli intermediari finanziari. Diminuendo il valore delle garanzie offerte a fronte dei finanziamenti ottenuti, gli intermediari possono chiedere il rientro ai debitori con un appesantimento del ciclo del credito che si ripercuote negativamente sulla domanda di beni di consumo e di investimento e, quindi, sulla crescita del reddito e dell’occupazione.

Tra i vari metodi di previsione dei tassi di crescita dell’economia, e quindi della recessione, esiste quello delle quotazioni di borsa su cui vogliamo soffermarci in questa scheda. L’approccio consiste nell’utilizzo della relazione prezzi/utili, dividendi/utili, tasso di interesse reale, tasso di crescita atteso dell’economia, premio al rischio relativo al tasso di crescita atteso. Il tasso di sviluppo degli utili viene assunto come proxy del tasso atteso di crescita dell’economia.

La sua applicazione richiede alcune condizioni fondamentali, tra cui il fatto che le azioni delle imprese siano quotate in borsa e che venga condotta una politica sufficientemente stabile dei dividendi. La politica dei dividendi non deve essere impiegata per inviare segnali distorti al mercato, garantendo un certo parallelismo tra la dinamica degli utili e quella dei dividendi.

Possiamo trovare il fondamento di questo approccio nella scuola austriaca del tasso di interesse e, in particolare, in Böhm Bawerk. Secondo il grande economista austriaco, il tasso di interesse è determinato dalla diversa valutazione dei beni presenti rispetto a quelli futuri.

Se, per dati profitti correnti, viene atteso un forte sviluppo delle imprese operanti in un determinato settore, le quotazioni di borsa interessate dovrebbero salire in relazione al valore attuale dei dividendi attesi. Ciò determina un innalzamento del rapporto prezzi/utili e, parità di tasso di interesse reale e di premio al rischio per il tasso di crescita atteso, un aumento del tasso di crescita dell’output. Posto un tasso di utilizzo costante del lavoro e del capitale, il tasso di crescita dell’output coincide con l’aumento della produttività totale dei fattori della produzione.
Va evidenziato un limite che caratterizza il metodo delle quotazioni di borsa per la stima della dinamica della produttività totale dei fattori della produzione. Si tratta della significatività in termini segnaletici del rapporto prezzi delle azioni/utili come indicatore del tasso di crescita atteso. E’ naturale che il mercato azionario si attenda uno sviluppo dell’economia superiore a quello passato quando è in atto una rivoluzione come quella dell’economia digitale e, in particolare, del fatturato delle imprese che la applicano più efficacemente e più velocemente delle altre. I prezzi delle azioni dovrebbero pertanto aumentare di più degli utili correnti, ma di quanto? Il mercato potrebbe infatti sopravalutare gli effetti del progresso tecnico sul tasso di sviluppo dell’economia. In questo caso ci troveremmo di fronte ad una “bolla speculativa” che occorrerebbe in qualche modo valutare per tenerne conto ai fini della stima del tasso di crescita atteso e della crescita della produttività totale dei fattori della produzione. Rimane fermo il fatto che nel lungo periodo l’aumento della produttività determinata dal progresso tecnico si traduce in larga parte in un aumento del reddito individuale che costituisce un indicatore sintetico dello sviluppo economico.

Per valutare la recessione in atto sulla base delle quotazioni di borsa possiamo effettuare un esercizio del tutto indicativo impiegando l’attuale rapporto tra prezzi e utili della Apple. Tale rapporto è pari a circa 13 e l’applicazione della formula che abbiamo sopra descritto per la valutazione del tasso di crescita atteso porta ad un valore uguale a 0,15%. Supponiamo che, nel caso specifico, il rapporto normale tra prezzi delle azioni e utili sia 30. In questo caso il tasso di crescita atteso sale al 2,3%, con una differenza di 2,15 punti percentuali. E’ questa la stima del mercato azionario, attraverso le quotazioni della Apple, del grado di recessione dell’economia. Si tratta di un dato che, pur tarato in vari modi, offre delle indicazioni segnaletiche interessanti sulle aspettative dell’economia. Nel contempo, a livello aziendale, va segnalato che la Apple ha già provveduto a rivedere al ribasso il tasso di crescita atteso del suo fatturato.

Concludiamo questa scheda con alcune considerazioni sulla creazione di valore per gli azionisti che secondo una scuola di pensiero, capeggiata da Friedaman, costituisce l’unica ed esclusiva responsabilità dell’impresa. A tale scuola si oppone quella di Freeman che sostiene che la responsabilità dell’impresa non riguarda solo la creazione di valore per gli azionisti ma anche la responsabilità nei confronti degli stakeholders interni ed esterni all’azienda: dipendenti, clienti, fornitori, ambiente. In tale ottica, i dipendenti costituiscono la risorsa più preziosa per la sostenibilità dell’impresa nel lungo periodo. Per tale motivo Porter e Kramer parlano, in un articolo del 2011 apparso su Harvard Business Review, di creazione di valore condiviso invece di creazione di valore esclusivamente riservato agli azionisti. La creazione di valore condiviso corrisponde al bene comune che costituisce l’obiettivo fondamentale della Dottrina Sociale della Chiesa.

In questo modo si ristabilisce un equilibrio nella direzione che va dal valore ai prezzi dei beni e delle attività finanziarie, rispetto all’attuale visione della “finanza cervello dell’economia” in cui sono i prezzi che determinano i valori. Una nuova visione che pone al centro dell’economia il concetto di creazione di valore condiviso (bene comune) e che potrebbe ridisegnare il capitalismo da finanziario a capitalismo sociale, con una nuova relazione con la società nell’era della globalizzazione.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 21 gennaio 2019