Schede CTS

La trappola del debito e le politiche delle banche centrali

La trappola del debito e le politiche delle banche centrali

In una precedente scheda si faceva riferimento ai dati pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) sul debito pubblico e privato a livello mondiale. Siamo di fronte ad una cifra enorme, pari a 184 mila miliardi di dollari (164 mila miliardi di euro ai tassi di cambio correnti). Il rapporto con il prodotto interno lordo mondiale (PIL) raggiunge il 225%, con un debito medio pro capite di 24 mila dollari (21 mila euro ai tassi di cambio correnti).

Spettacolare è il rapporto tra il debito complessivo degli Stati Uniti d’America e il PIL. Questo rapporto era pari al 300% nel 1930 e raggiunse il picco del 370% nel 2008. Quindi percentuali di incidenza molto più elevate rispetto all’Italia: 130% per il debito pubblico e molto meno per quello privato.

Naturalmente ad ogni passivo corrisponde un attivo e pertanto a questo enorme debito a livello mondiale corrisponde un altrettanto elevatissimo livello delle attività finanziarie. Le attività finanziarie, in relazione agli strumenti in cui sono espresse, hanno un prezzo e pertanto la propensione a speculare sugli andamenti dei prezzi delle attività finanziarie è enorme, estraendo valore invece di crearlo. Se guardiamo alle variazioni delle quotazioni di borsa, si notano in un anno differenze tra i valori minimi e quelli massimi in media del 20%. Per alcuni tipi di azioni la variazione è anche tre volte questa percentuale. Ciò avviene a fronte di tassi di interesse nulli di policy delle Banche Centrali. Si tratta di rendimenti impensabili nel settore reale dell’economia. Si è creato quindi un enorme disallineamento tra l’efficienza marginale del capitale del settore reale dell’economia e i rendimenti ricavabili dalle attività finanziarie, a fronte di tassi di interesse nulli praticati dalle Banche Centrali. Fino a quando potrà rimanere in piedi questo enorme castello di carta di debiti e di attività finanziarie che si è creato e che poggia sopra una base molto più ristretta rappresentante dell’economia reale? Il problema è che non esistono fattori/manovre di correzione come avviene per le imprese che possono fallire e portare quindi ad una “pulitura” del mercato.

Oltretutto esiste anche un altro delicatissimo problema. Di fronte a questa enorme massa di debiti a livello mondiale, le Banche Centrali, e in primis la Federal Reserve americana e la BCE, sono condizionata dalla gestione dalla politica monetaria che avviene attraverso i tassi di interesse. Un rialzo dei tassi di interesse crea infatti il rischio di far crollare tutto il castello di carta. Si pensi solo che il rialzo di un punto dei tassi di interesse determina un aumento degli oneri sul debito di 1.640 miliardi di euro, pari all'intero PIL dell’Italia. Si aggiunga che il sostanziale clima di deflazione che stiamo attraversando peggiora ulteriormente le cose, come già aveva messo in evidenza l’economista americano I. Fisher negli anni trenta del secolo scorso. La deflazione fa male ai debitori e fa inoltre ristagnare la domanda di consumi e di investimenti e quindi la crescita del reddito e dell’occupazione.

blog fb ottobre 2017 33

D’altra parte i tassi di interesse dovrebbero ritornare a svolgere la fondamentale azione nell’economia di mercato di selezione degli investimenti, cosa che non avviene con tassi di interesse nulli delle Banche Centrali. Così un tasso di interesse del 5% porta a realizzare investimenti fino al punto di una efficienza marginale del capitale pari al 5%. Questa è la sana relazione tra settore reale dell’economia e settore finanziario. Ma se il settore finanziario dell’economia offre in un anno anche rendimenti superiori al 20%, viene fortemente sacrificata la propensione ad investire nel settore reale dell’economia che è impossibilitato ad offrire rendimenti del 20%. In questo modo si spinge il sistema non a creare valore ma ad estrarre valore, con squilibri di ogni genere, compresi quelli di tipo distributivo. Bisognerebbe portare i tassi di interesse di policy al 20%, ma questo ucciderebbe il settore reale dell’economia che è quello che crea valore.

In sintesi, le Banche Centrali sono intrappolate tra Scilla e Cariddi, cioè tra l’impossibilità da una parte di alzare i tassi di interesse a causa dell’enorme stock di debito e dall’altra la necessità di farlo perché il tasso di interesse ritorni a fare il suo mestiere di selezione degli investimenti, con un riequilibrio tra settore reale e settore finanziario dell’economia.

Esistono vie d’uscita? Una certamente, in parte già sperimentata con il famoso Quantitative Easing (QE).

Lo scopo è quello di togliere il terreno sotto i piedi alla speculazione finanziaria e alla sottrazione di valore. Occorre per questo ridurre la montagna di carta delle attività finanziarie e questo lo possono fare solo le Banche Centrali attraverso la monetizzazione del debito. Il contrario cioè di quello che è stato fatto con divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, con il rifiuto di comperare in asta i titoli non collocati.

A scopo di esercizio, l’obiettivo potrebbe essere quello di riportare il rapporto tra debito mondiale e PIL mondiale al 100%, rispetto al 255% attuale. Occorrerebbe per questo riportare le attività finanziarie a 73 mila miliardi di euro, togliendo dal mercato 91 mila miliardi di euro di attività finanziarie con l’intervento delle Banche Centrali, naturalmente in un arco temporale pre-definito. Possiamo confrontare questa cifra con quella all’importo massimo del QE della BCE, pari a 80 miliardi di euro mensili e quindi a 960 miliardi all’anno. A questo importo andrebbe aggiunto quello del QE della Federal Reserve americana. Come minimo possiamo pensare di raddoppiare l’importo e di arrivare quindi a 1920 miliardi di euro all’anno, pari al 2,1% del totale.

Il prosciugamento delle attività finanziarie, base della speculazione e dell’estrazione di valore, richiederebbe un tempo abbastanza lungo di 48 anni, ma supponendo ragionevolmente un prosciugamento annuo del 4%, il periodo si ridurrebbe a 25 anni. Un obiettivo da comunicare al mercato con tutti gli effetti positivi del caso sulle aspettative. Evidentemente, ciò restituirebbe elasticità alla BCE e alla Federal Reserve americana nella manovra dei tassi di interesse di policy e al recupero fondamentale del tasso di interesse come fattore di selezione degli investimenti che determinano la quantità e la qualità dello sviluppo nel medio e lungo periodo.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Roma, 1 aprile 2019