Schede CTS

Il turbocapitalismo USA in ritardo di 130 anni

Il documento dei 181 Ceo della “Business Roundtable”

Il turbocapitalismo USA in ritardo di 130 anni

Ha fatto clamore in Italia e nel mondo la pubblicazione del documento “Lo scopo dell'impresa” della Business Roundtable degli Stati Uniti d'America. Una tavola rotonda di 181 uomini d'affari e non come quella più nota e nobile di cavalieri senza macchia e senza paura al servizio del Re e della Chiesa. Questa Assise americana da lavoro a 15 milioni di addetti, fattura complessivamente 7 triliardi di dollari, vede al suo vertice Jamie Dimon della JP Morgan Chase e trai suoi firmatari AT&T, Amazon, General Motors, il fondo Black Rock, Apple, Pepsi, Walmart, Bank of America ecc. ecc.

Quando si è avuta conoscenza di questo documento da noi, qualche amico, tra questi anche alcuni autorevoli esponenti del mondo cattolico, con entusiasmo mi ha chiesto di non trascurarlo per la sua “portata epocale” e di farne oggetto di commento, studio e riflessione con il Comitato Scientifico dell'UCID che presiedo.

A questi amici devo chiedere pubblicamente scusa per aver risposto molto freddamente e con malcelato disinteresse, perché mi era apparso immediatamente che i manager statunitensi erano arrivati tardi ed in maniera approssimativa sui temi dei rapporti etica-impresa ed impresa e territorio e comunità.

E vediamo perché.

Per la prima volta nella vita di questa associazione, i 181 firmatari affermano che accanto al profitto a favore degli azionisti, occorre perseguire anche gli interessi di altri stakeholder (dipendenti, fornitori, consumatori, comunità locale).

La grande impresa cioè si interroga sul proprio ruolo sociale e dichiara di volersi orientare a non considerare come suo obiettivo il solo profitto ma ad includere anche la “protezione dell'ambiente” e la “dignità e il rispetto del lavoro”, dei consumatori, dei fornitori e delle comunità locali.

In pratica si è trattato di un vero e proprio proclama che dovrebbe sancire il tramonto delle teorie economiche proprie del capitalismo classico, secondo le quali la responsabilità sociale delle imprese consiste esclusivamente nell'aumentare i profitti.

Contemporaneamente a Parigi si riunivano – quasi fosse passata una parola d'ordine - nel “Business for inclusive growth” 34 multinazionali europee con 3,5 milioni di dipendenti che presentavano un documento analogo a quello della “Roundtable” per assumere impegni contro tutte le disuguaglianze.

I giudizi sul documento statunitense sono stati tantissimi, disparati e di segno variegato, se non addirittura contrario ed opposto:

Il “Financial Times” e molti commentatori italiani hanno addirittura ritenuto che ci sia stata una vera e propria svolta etica nella filosofia economica delle principali aziende statunitensi. Per questo Mohamed El-Erian, chief economic adviser di Allianz, ha confermato che: “C'è una svolta etica importante e riflette un consenso emergente attorno all'importanza di un capitalismo più inclusivo”.

Invece c'è chi l'ha considerato solo una mossa di marketing come furono negli anni scorsi i cosiddetti bilanci sociali (si ricorderà che persino la Parmalat di Calisto Tanzi lo pubblicava) o una manifestazione di presunzione e/o di arroganza da parte di multinazionali che vogliono occupare spazi pubblici; oppure, ancora ,è stato giudicato da altri come un tentativo di “pararsi” da eventuali attacchi della sinistra statunitense che, con Bernie Sanders ma ancor più con Street Elizabeth Warren, mette in discussione le fondamenta del capitalismo finanziarizzato americano. La Warren, infatti da anni sostiene che il primato del rendimento del capitale investito è alla base dell'aumento delle diseguaglianze, tanto da aver presentato una proposta di legge per imporre agli amministratori di agire nell'interesse degli stakeholder e non solo degli azionisti.

Le osservazioni che ci sembrano più “centrate”, però, sono quelle del Presidente di Saipem, Francesco Caio che ha detto a “Il Sole 24 Ore”: «Noi italiani, per storia e ambiente, abbiamo una marcia in più nel valore sociale di impresa. Possiamo giocarcela alla pari con tutti, perché noi abbiamo molto da dire quando si parla di uno scopo» ed – aggiungo io - perché abbiamo già detto molto su questo tema. Giustamente il manager ricorda l'insegnamento e l'esperienza di Adriano Olivetti: «Nel 1954 Adriano Olivetti quando apre lo stabilimento di Pozzuoli scrive una lettera che conteneva già questi princìpi: voleva portare lo spirito di Ivrea nel nuovo stabilimento di Pozzuoli”, con una particolare “attenzione alla persona”... Del resto, continua Caio: “E' quello che cercammo di fare, ad esempio, quando lanciammo Ommnitel nel '93”: Primo “avere una strategia di competitività per creare valore”. Secondo: “Costruire l’impresa attorno alla persona e al suo desiderio di realizzazione”. Terzo: “L’attenzione al territorio. In questo senso la fabbrica è vicina alle comunità che deve alimentare e rispettare”. Il manager italiano giustamente ha ribadito che il “sistema valoriale che gli investitori chiedono oggi ma che noi abbiamo già”, è la creatività, il genio italiano, mix di determinazione, intuito e innovazione nella tradizione.

Una giusta critica al pronunciamento USA la fa anche Umberto Tombari che dice: «Trovo che il documento della Business Roundtable sia troppo generico per parlare subito di una vera svolta. Perché non esiste alcun obbligo, solo delle buone intenzioni. Ma quello che noto, con piacere, è un crescendo di sensibilità generale. E' come se si fossero resi conto, forse un po' tardivamente, di essere loro, con il successo globale delle imprese che controllano o dirigono, la fonte principale dell'esplodere delle disuguaglianze a livello globale. Sentono di essere diventati antipatici, ostili “a gran parte del pubblico”».

Andrea Goldstein, dal canto suo, ricorda giustamente che si tratta di “una modesta novità per chi ha studiato sui testi di Gino Zappa e Carlo Masini. La scuola novecentesca di economia aziendale infatti pone al centro le relazioni tra stakeholder ed introduce valori come solidarietà, altruismo o responsabilità. Non c'era bisogno degli americani, insomma, per ricordare che dignità e rispetto per chi lavora sono altrettanto importanti che l'Ebitda (e magari anche più)”.

Anche l'amico Franco De Benedetti considera i propositi enunciati nel documento statunitense “di sconcertante ovvietà” e ne ricorda alcuni passi: «Crediamo nel libero mercato come il mezzo migliore per produrre lavoro, un’economia forte e sostenibile, innovazioni, un ambiente salubre, opportunità economiche per tutti.[...] Le nostre aziende hanno ciascuna il proprio scopo, noi condividiamo il nostro impegno verso tutti i nostri stakeholder»... «Siamo impegnati a fornire beni di valore ai nostri clienti, a investire nei nostri dipendenti, a trattare correttamente con i nostri fornitori, a sostenere le comunità in cui lavoriamo, a produrre valore di lungo termine per i nostri azionisti». E si chiede De benedetti: “Chi mai, oggi o in passato, esprimerebbe il proposito di fornire prodotti scadenti ai propri clienti, di sfruttare i propri dipendenti e di essere scorretto con i propri fornitori?” E poi accenna al problema del “rapporto di guadagno annuo tra posizioni apicali e media aziendale”... “Quanto alla convenienza di investire nei propri dipendenti, e stabilire con essi un rapporto di fiducia, da decenni se ne scrive e se ne parla”.

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Per allargare questa panoramica di giudizi ricordiamo Luigi Zingales, che pensa che si tratti di fumo negli occhi: il problema non sarebbe compiacere gli shareholder, ma al contrario non dar loro abbastanza potere su questioni di rilevanza sociale, come la vendita delle armi nei supermarket, o la riduzione delle emissioni di CO2, ma quello di conciliare le ragioni di efficienza con quelle di giustizia sociale.

Infine c'è da chiedersi, come fa giustamente Gianni Toniolo su “Il Sole 24 Ore”: “perché queste dichiarazioni non siano nate, come negli anni 30, nel momento più duro della crisi ma compaiano oggi, al culmine di una delle più lunghe – e forse inclusive – fasi espansive dell'economia statunitense. Non è stata la disoccupazione di undici anni fa a ispirarle ma è stata la crescita del populismo o magari il timore che le elezioni del 2020 consegnino la Casa bianca a un Sanders o a un Warren”.

Erano, infatti, più di quarantanni, dal 1978, che venivano pubblicati “I principi di Corporate Governance”, che avevano sempre sostenuto il primato dell'azionista fuori e dentro l'azienda, ma solo ora ci si accorge che il capitalismo ed il mercato lasciati a se stessi si sono dimostrati incapaci di diffondere equamente i benefici della crescita.

Comunque qualunque siano le motivazioni che hanno indotto i Ceo di Washington a firmare un documento, che ha la pretesa di segnare una vera e propria svolta etica nel mondo dell'impresa statunitense e, trattandosi di multinazionali, di tutto il mondo, una cosa è certa, ed è che arriva in ritardo ed al seguito delle dottrine socialdemocratiche, peraltro fallite, degli esperimenti dell'economia sociale di mercato, parzialmente riusciti, e, sopratutto, dopo la riflessione e gli insegnamenti della Dottrina della Chiesa che risalgono al 1891, anno della prima enciclica sociale “Rerum Novarum”.

Basterebbe andar a cercare fior da fiore in questo patrimonio di saggezza per accorgersi della sua forza profetica e della sua attualità in tema di analisi e di proposte.

Esaminiamo infatti dettagliatamente il documento della “Tavola Rotonda” secondo il quale l'attenzione al profitto deve rimanere, ma dovrà essere solo una delle linee guida.

Ma la dottrina sociale cattolica spiega meglio questa idea: quando un'azienda produce profitto significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti. Al profitto si può e si deve attribuire infatti un significato etico perché ogni impresa nasce da un capitale, frutto di passato lavoro e appresta nuovo capitale per nuovo lavoro, che resta sempre il frutto e l’espressione più alta della spiritualità, dell’intelligenza e delle potenzialità dell’uomo. Il profitto rappresenta, dunque, un segnale indicatore importante, ma la sua credibilità e il suo apprezzamento saranno maggiori se conseguiti con strategie di impresa costruite attorno a valori e a idealità fondate sulla consapevolezza del ruolo e della responsabilità anche sociale e civile che deve qualificare il soggetto impresa, in modo da trasformare l’attività economico-finanziaria da semplice scambio economico in una rete di relazioni finalizzate all’uomo, per favorire un utilizzo delle risorse al servizio soprattutto delle persone e dei popoli. E secondo San Giovanni Paolo II: “Sarebbe infatti decisamente insufficiente limitarsi al perseguimento del massimo profitto; occorre invece far sempre riferimento ai valori superiori del vivere umano, se si vuole essere di aiuto alla crescita vera ed al pieno sviluppo della comunità”.

Per quanto riguarda il nuovo ruolo dei Consigli di Amministrazione e dei manager delle imprese secondo il recente documento, il Magistero della Chiesa fin dal 1931 con la enciclica “Quadrigesimo anno” di Pio XI affermava: “E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento”. Riflessione ripresa da Papa Benedetto XVI nella sua insuperabile enciclica “Caritas in veritate”: “negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi”. Del resto anche il Catechismo della Chiesa cattolica lancia un appello alle parti sociali: “La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti… Si farà di tutto – punto 2430 – per comporre tali conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale… i responsabili di imprese, i rappresentanti dei lavoratori…i pubblici poteri”. E rivolgendosi agli imprenditori il Catechismo evidenzia come questi “abbiano davanti alla società la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni. Hanno il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l’aumento dei profitti…”.

Inoltre quello che sarebbe una novità per gli americani, cioè investire nei dipendenti e nel territorio, da sempre è stato un imperativo della Dottrina sociale che ha declinato nella storia i principi di sussidiarietà, partecipazione, territorio e comunità e, sopratutto, della tutela della dignità del lavoro. “Il lavoro umano è parte della creazione e continua il lavoro creativo di Dio. Questa verità ci porta a considerare il lavoro sia un dono che un dovere. Il lavoro perciò non è meramente una merce, ma possiede la sua propria dignità e valore. (…) Impegnandoci per accrescere le opportunità di lavoro, affermiamo la convinzione che solo “nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”, (Evangelicum gaudium, p. 192).

Per quanto riguarda la partecipazione ed il coinvolgimento delle maestranze alla vita ed al distino delle imprese papa Francesco, riprendendo la enciclica “Laborem Exercens” di San Giovanni Paolo II, afferma che il lavoro è quella attività in cui “l’essere umano esprime ed accresce la dignità della propria vita e che il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune”, “Chi perde il lavoro e non riesce a trovare un altro buon lavoro, sente che perde la dignità, come perde la dignità chi è costretto per necessità ad accettare lavori cattivi e sbagliati”.

È indubbio che la globalizzazione dei mercati ha sempre più bisogno, a qualsiasi latitudine e longitudine si operi, di coinvolgere e rendere corresponsabili della vita e del destino delle imprese, le cosiddette risorse umane. Risulta evidente inoltre che la crisi del cosiddetto capitalismo finanziario si potrà superare, incentivando e promuovendo nuove forme partecipative e con la diffusione in particolare dell’azionariato tra i dipendenti delle singole aziende. Tutti, infatti, sono d’accordo che la risorsa umana è il bene più importante per l’impresa ed è l’uomo che deve essere al centro della nuova economia(*).

La partecipazione, perciò, mai come ora può diventare fattore di rafforzamento della competitività e sopratutto di benessere per i lavoratori, come suggerisce tutta la dottrina sociale della Chiesa, dalla enciclica “Quadragesimo Anno” (1931) di Pio XI («Stimiamo sia cosa più prudente che, fin dove è possibile il contratto del lavoro venga temperato alquanto col contratto di società, come si è cominciato a fare, in diverse maniere, con non poco vantaggio degli operai stessi e dei padroni. Così gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nella amministrazione, o compartecipi in certa misura, agli utili ricavati».), alla “Mater ed Magistra” (1961) di Giovanni XXIII («Riteniamo che sia legittima nei lavoratori l'aspirazione a partecipare attivamente alla vita delle imprese, nelle quali sono inseriti e operano».), alla “Laborem Exercens” (1981) di Giovanni Paolo II («Le numerose proposte avanzate dagli esperti della dottrina sociale cattolica ed anche del supremo Magistero della Chiesa. Queste sono le proposte riguardanti la comproprietà dei mezzi di lavoro, la partecipazione dei lavoratori alla gestione e/o ai profitti delle imprese, il cosiddetto azionariato del lavoro, e simili». Dalla Centesimus Annus sempre di San Giovanni Paolo II, del 1ª maggio 1991 («Si può giustamente parlare di lotta contro una sistema economico inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e delle terra, rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo. A questa lotta contro un tale sistema non si pone, come modello alternativo, il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di Stato, ma una società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società».), alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, che contiene indicazioni precise per adottare forme di partecipazione del lavoratore e quindi elevare l'uomo a soggetto del lavoro, ai vari interventi di Papa Francesco, riportati in particolare nella “Evangelicum gaudium”.

Per concludere e riassumendo le nostre considerazioni.

Per quanto riguarda la presunta svolta etica nella filosofia economica delle aziende statunitensi è vero che “non si tratta di esprimere un giudizio sull'autenticità o meno delle motivazioni intrinseche dei 181 Ceo – scrive molto benevolmente Stefano Zamagni – quanto piuttosto di riconoscere che quella dichiarazione di principio sia stata firmato”, dovrebbe far riflettere però che negli ultimi anni sia sul piano del rispetto delle leggi e delle regole sia sul piano della correttezza commerciale e del trattamento dei lavoratori, trai firmatari ci sono aziende che non si sono comportate bene.

Ad esempio la Bank of America è stata multata per 16,65 miliardi. E' la più grande sanzione mai pagata da una società statunitense indagata dalle autorità per violazioni su titoli ereditati da Marrill Lynch e dal leader subprime Countrywide. Per risolvere tutti gli scandali scaturiti dalla crisi del 2008 la BofA pagherà quasi 80 miliardi di dollari. Jp Morgan, l'altra banca di investimento, che ha pagato un'analoga multa di 13 miliardi sempre per mutui subprime, esprime nientemeno il presidente della “Roundtable” con il suo Ceo Jaime Dimon, che è anche il primo firmatario del documento. Anche la Commissione europea aprì una indagine contro tre banche internazionali tra cui Jp Morgan sospettate di avere partecipato alla manipolazione dell'Euribor. Alla fine del 2013, un gruppo di banche era stato già multato da Bruxelles per un totale di 1,7 miliardi di euro per manipolazione dell'Euribor, tra cui Citigroup, che dal suo canto, già ha accettato di pagare 7 miliardi di dollari al governo americano per gli scandali sui titoli derivati dai mutui legati alla crisi. La sanzione prevedeva il pagamento di 4 miliardi di multe al Dipartimento della Giustizia, di 500 milioni a numerosi stati americani e all'autorità del settore Fdic e di 2,5 miliardi in aiuti ai consumatori per ridurre i debiti immobiliari. Recentemente ha patteggiato con 100 milioni di dollari per condotta fraudolenta riguardante il Libor.

Il documento americano è firmato peraltro – e non depone bene - da personaggi che sono, nello stesso tempo, azionisti e manager delle loro società che continuano a percepire stratosferiche retribuzioni che stridono con i salari e gli stipendi medi dei loro dipendenti. Basta pensare solamente che alla Walmart, dove gli stipendi medi si aggirano sui 19.177 dollari l'anno e si confrontano con il guadagno del Ceo (Chief Executive Officer, ossia il nostro Amministratore Delegato), Doug McMillon, pari a 22,2 milioni di dollari. Il numero uno di Amazon, Jeff Bezos è l'uomo più ricco al mondo. Ha accumulato un patrimonio di 100 miliardi di dollari, 2,4 guadagnati in un solo giorno.

Tra le aziende firmatarie poi c'è chi come Amazon viola i diritti più elementari dei propri dipendenti, controllandoli a vista come si faceva con gli schiavi più di un secolo fa, pagando stipendi da fame e sfruttandoli. Il colosso dell'e-commerce infatti ha brevettato i “bracciali intelligenti” legati al polso dei lavoratori per monitorare la correttezza e la rapidità di ogni singolo movimento e avvisare con una vibrazione in caso di errore o ritardo. In Italia, un operaio Amazon guadagna il minimo previsto dal contratto del commercio. Non sono previsti aumenti legati all’aumento di produttività. I trasportatori sono quasi sempre lavoratori di cooperative della logistica e hanno più volte denunciato le condizioni di sfruttamento alle quali vengono sottoposti. “Se non stai nei tempi non succede nulla”, dice l’azienda. “Nulla” significa che recuperi a tue spese, saltando la pausa pranzo o staccando più tardi. Questi sistemi brevettati per far correre sempre più i lavoratori e consegnare la merce entro 24 ore dall’ordine hanno prodotto un incremento dei guadagni di Amazon: l’azienda ha fatturato in un anno 136 miliardi di dollari, 21 dei quali in Europa, dove ha goduto di un trattamento di favore sulle tasse pagate.

Vi sono infine altre aziende firmatarie che hanno truffato e danneggiato gli stakeholder come la Johnson & Johnson che è stata condannata a pagare per ora 4,7 miliardi di dollari dal tribunale di Los Angeles per aver procurato il cancro alle ovaie a 22 donne che avevano utilizzato i suoi prodotti. Il conto salato potrebbe ulteriormente salire perché vi sono ben 9 mila cause pendenti per lo stesso motivo.

Proprio per questo Larry Summers, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti con Clinton, diffida perciò delle buone intenzioni della “Business Roundtable”. Si tratterebbe di una mossa preventiva, a suo giudizio, per difendersi da un'eventuale riforma fiscale, specie se alla Casa Bianca, tornassero i democratici con una svolta “socialista”. Una mossa preventiva che in ogni caso arriva in ritardo perché da sempre il Magistero cattolico ritene che chi svolge un’attività economica non può non avere la consapevolezza di essere prima di tutto al servizio della comunità e della economia nazionale, se vuole che l’uomo resti e sia al centro dell’impresa.

Sbaglia, infatti, chi pensa che la morale debba essere guida soltanto sul piano strettamente individuale e non anche in sede pubblica o istituzionale.

Questo perché la morale cristiana è per l’uomo e per lo sviluppo e la sua promozione in tutte le sue attività e non può essere intesa in senso solo personale, ma deve avere “una rilevanza sociale”.

Del resto anche dal punto di vista dei risultati economici la morale è necessaria allo stesso svolgersi dell’attività di impresa, perché lungi dal danneggiarla, migliora, nel lungo periodo, il suo stesso andamento (Amartya Sen).

Infatti, come anche scriveva tempo fa Donato Masciandaro, dal punto di vista strettamente economico solo in un mercato ben funzionante, che può esistere quando la maggior parte degli agenti economici si comporta conformemente all’etica del mercato sostenibile, le imprese e le banche possono prosperare. L’economia infatti come ogni altro ambito umano “ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona” (cfr. Enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”).

Riccardo Pedrizzi

Presidente Nazionale del Comitato Tecnico Scientifico dell'UCID

(Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti)

(*) Riccardo Pedrizzi: “Il Salvadanaio. Manuale di Sopravvivenza economica” Editrice Guida 2018 euro 18,00