Schede CTS

Per un nuovo ordine mondiale

Per un nuovo ordine mondiale

Il vecchio ordine economico globale, nato dopo la seconda guerra mondiale, appare ormai in dissoluzione. La guerra mondiale a pezzi, come la definisce Papa Francesco, le immigrazioni, la questione climatica e la guerra commerciale tra Stati Uniti, Cina ed Europa sono i principali avvenimenti che indicano la fine di un’epoca. Viviamo pertanto non un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento di epoca. Dobbiamo pertanto ricercare un nuovo ordine economico mondiale, per dare un futuro al nostro pianeta e ai nostri figli.

Gli accordi di Bretton Woods del 1944 avevano segnato l’inizio di una nuova era basata sull’integrazione economica mondiale e sulla cooperazione per un nuovo modello di sviluppo. Erano stati creati il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per fronteggiare gli squilibri transitori delle bilance dei pagamenti dei Paesi aderenti e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS o Banca Mondiale) per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad uscire dalla povertà. Accanto alla Banca Mondiale sono state create le Banche Regionali di Sviluppo per tenere conto delle specificità dei problemi da risolvere nelle diverse aree economiche mondiali.

Tutto questo era nato da una forte discussione intorno a due piani alternativi: il piano dell’inglese Keynes e il piano dell’americano White. Il piano Keynes erano molto più ambizioso e lungimirante, prevedendo anche la creazione di una moneta mondiale chiamata bancor. Alla fine prevalse il piano White che portò alla sovranità del dollaro come moneta internazionale degli scambi e come fondo di valore a livello mondiale. L’Europa, distrutta dalla guerra, si inserì in questo modello di ricostruzione e sviluppo che portò ad eccezionali tassi di crescita del reddito e della ricchezza negli anni cinquanta e sessanta. L’Italia si inserì a pieno titolo in questo processo di sviluppo, dando vita al cosiddetto “miracolo economico” e al recupero della stabilità della propria moneta.

Le istituzioni economiche e finanziarie internazionali nate con gli accordi di Bretton Woods ora sono profondamente in crisi. Nel frattempo la più importante economia del mondo, gli Stati Uniti d’America, sta sparando a zero sul multilateralismo e sulle Istituzioni economiche e finanziarie internazionali, innalzando la bandiera del bilateralismo sia piano economico e finanziario che su quello politico.

In questo nuovo scenario l’Europa appare la più debole e la più in crisi, con scontri tra i paesi aderenti all’Unione Europea su diversi temi come quello dell’immigrazione. In questa situazione abbiamo una moneta comune, l’euro, che in qualche modo tiene insieme un certo numero di Paesi della cosiddetta eurozona. L’Inghilterra è uscita dall’Unione con la Brexit, avendo continuato a mantenere la propria moneta, la sterlina.

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L’azione del Presidente americano, paladino del bilateralismo, si è già manifestato su due importanti campi. Quello economico con l’imposizione di dazi all’importazione nei confronti dell’Europa e della Cina e quello politico con la sigla dell’accordo con il Presidente della Corea del Nord per la cessazione dei test nucleari. Sul piano economico, non dobbiamo dimenticare che nel 2017 il deficit della bilancia commerciale americana ha superato i 600 miliardi di euro, di cui in gran parte verso la Cina e l’Europa. Per quanto riguarda l’Europa, il Paese in prima linea è la Germania che nel 2017 presenta un avanzo commerciale che supera il 9% del prodotto interno lordo. Quello dell’Italia è circa il 3% del prodotto interno lordo. Gli altri Paesi dell’Unione hanno in larga parte dei deficit della bilancia commerciale dei pagamenti.

Per completare lo scenario economico mondiale dobbiamo fare un accenno ai BRICS, cioè Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, e al continente africano. Negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio, il prodotto interno lordo in termini reali dei BRICS è cresciuto a tassi molto elevati, tra il 5 e il 10%. Questi paesi sono definiti globalizzati e hanno beneficiato della mobilità dei beni, dei servizi, dei capitali e delle persone; in altre parole, della mobilità di tutti i fattori della produzione. I paesi non globalizzati hanno invece mostrato nello stesso periodo tassi di crescita molto contenuti o negativi, non per causa della globalizzazione ma per cause interne come guerre, siccità, malattie e altro.

Un discorso a parte merita l’Africa che è un continente di grandi potenzialità ma che è afflitto da guerre, condizioni climatiche avverse, malattie e fortissimi fenomeni migratori. I flussi migratori sono diretti verso l’Europa e, in particolare, verso i paesi del sud Europa come l’Italia. La demografia africana è molto dinamica, tanto è vero che l’aumento della popolazione mondiale al 2050, pari a 9 miliardi di persone, è in gran parte dovuto all’Africa. Tale dinamismo demografico si contrappone a quello molto debole e addirittura negativo dei popoli europei e, in particolare, dell’Italia.

Al di sopra dei problemi immediati dell’immigrazione africana in Europa, vi è il problema più importante di lungo periodo dell’integrazione, di cui poco si parla e rispetto al quale poco si fa, soprattutto in Italia. La via maestra dell’integrazione è rappresentata dalla scuola che rappresenta il luogo più adatto e più sicuro in un’ottica di lungo periodo, perché si basa sull’integrazione delle giovani generazioni che costituiscono il nostro futuro. Pensiamo, ad esempio, all’alternanza scuola- lavoro che da noi è solo agli inizi, con un peso del 4% rispetto al 20% e più della Germania.

Dopo l’eccezionale performance economica dei BRICS negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio, segue un periodo di crisi a partire dal 2008, complice anche la forte diminuzione del prezzo del petrolio che ha colpito soprattutto i paesi maggiormente produttori. I BRICS stanno ora cercando di riprendere la via dello sviluppo, con la creazione di una serie di istituzioni finanziarie e l’avvio di progetti integrati di sviluppo come la “via della seta” che riguarda in modo particolare la Cina e la Russia. In questa nuova progettualità di sviluppo, è sopraggiunto l’aiuto del prezzo del petrolio che è ritornato su livelli decisamente favorevoli.

L’Europa non ha ancora capito a fondo una grande verità storica sottolineata da sempre da menti illuminate e, in particolare, da Keynes nella splendida monografia del 1919, “Le conseguenze economiche della pace”, dedicata alla Conferenza di pace di Parigi alla fine della prima guerra mondiale. La Russia è il ponte tra l’Europa e l’Asia, come aveva fortemente voluto lo zar Pietro il Grande fondando la città di Pietroburgo, con il contributo fondamentale di architetti italiani che egli aveva chiamato.

Questa idea avrebbe immensamente dilatato la visione delle radici cristiane dell’Europa su cui si era battuto con grande energia e fede Giovanni Paolo II, essendo il cristianesimo diffuso, attraverso la Russia, fino ai confini con l’Asia.

Ma ecco le profetiche parole di Keynes sui rapporti tra Europa e Russia all’indomani della prima guerra mondiale. “Il blocco della Russia recentemente proclamato dagli Alleati è perciò un provvedimento stolido e miope: blocchiamo non tanto la Russia quanto noi stessi” (p. 229). E ancora: “Tanto miglior successo avremo nel troncare i rapporti tra Germania e Russia, tanto più deprimeremo il livello delle nostre condizioni economiche e aggraveremo i nostri problemi interni” (p. 231).

In cento anni dalla fine della prima guerra mondiale non è cambiato nulla, se pensiamo alle sanzioni economiche nei confronti della Russia e alla sua esclusione dal G8. Il Presidente americano ha spiazzato ancora una volta l’Europa, affermando che la Russia deve rientrare, ricostituendo il G8. Per la verità, anche l’Italia si è mossa, sia pure timidamente, in questa direzione, con un deciso rafforzamento della posizione nei tempi più recenti. Non va dimenticato che storicamente i rapporti economici tra l’Italia e la Russia sono sempre stati buoni, con molte iniziative di cooperazione economica e industriale.

Come è noto, i Paesi che hanno fondato a Roma la Comunità Europea il 25 marzo 1957 sono sei: Germania, Francia, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo. Un nucleo di Paesi piuttosto omogeneo in termini di indicatori economici, ma anche sociali, storici e religiosi. All’Unione Europea aderiscono attualmente 27 Paesi, dopo l’uscita del Regno Unito con la Brexit.

Si è assistito ad una stratificazione successiva, con Paesi che hanno aderito all’Unione Europea in fasi diverse, con forti differenze in termini di indicatori economici, finanziari e sociali. La moneta unica a circolazione effettiva che poi è nata, l’euro, non può certo definirsi perno di un’area monetaria ottimale, come dicono gli economisti.

La situazione in cui ci troviamo oggi, certamente grave, ci porta a dire che la tesi “funzionalista” non ha avuto buona sorte: prima l’economia e poi la politica e i cittadini. L’Europa della moneta e delle banche ci ha portati in un vicolo cieco da cui ora dobbiamo uscire. Forse per questo dobbiamo tornare alle origini, ripartendo dal nucleo storico costitutivo dei sei Paesi. Gli altri Paesi potrebbero aggregarsi per cerchi concentrici attorno al nucleo centrale, con vincoli via via meno stringenti. Il nucleo centrale, oltre ad avere una moneta comune, dovrebbe avere una politica monetaria e una politica fiscale comuni. Lo stesso nucleo dovrebbe costituire il grande propulsore degli investimenti, sia materiali che immateriali di rete, facendo da locomotiva e forza integratrice di tutti gli altri Paesi che fanno parte dell’Unione. Nel contempo, dovrebbero essere rafforzati gli organi politici del nucleo centrale, con un bilancio che dovrebbe rappresentare una quota significativa del reddito complessivo dei sei Paesi.

Come dice Benedetto XVI, i cristiani devono costituire la minoranza creativa per la rinascita dell’Europa, partendo dai valori e dallo sviluppo integrale della persona umana. E’ un nuovo umanesimo che deve animare la ricerca di un diverso ordine economico e sociale europeo. Solo così l’Europa potrà ritornare ad essere protagonista rispetto alle grandi direttici della storia.

In questo senso, ci piace ritornare al pensiero di Keynes che leggiamo nella monografia del 1919 prima citata. Ecco nuovamente le sue parole: “Il rovinoso dissesto dell’Europa, se non vi poniamo un freno, a lungo andare colpirà tutti; ma forse non subito e in modo traumatico. E questo ci offre una felice possibilità. Forse abbiamo ancora il tempo di riconsiderare la nostra condotta e di vedere il mondo con occhi nuovi” (pp. 231-232).

Dobbiamo superare la sindrome di Clemenceau per aprire cieli nuovi e terre nuove in Europa. Come afferma Keynes nella citata monografia “Clemenceau vede le cose in termini di Francia e Germania, non di umanità e di civiltà europea in cerca di un nuovo ordine” (p. 43).

Papa Francesco, in occasione del conferimento a Roma del Premio Carlo Magno il 6 maggio 2016, davanti ai vertici dell’Unione Europea, ha affermato che sogna “un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”; “un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà”; “un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate più sui volti che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni”. Sono questi i sogni che hanno animato e realizzato i padri fondatori dell’Europa, che erano dei grandi cristiani con una memoria e un’identità che li rendevano capaci di creare un nuovo ordine economico e sociale europeo.

In definitiva, la ricerca di un nuovo ordine economico mondiale si inquadra nelle tre grandi sfide a cui si trova di fronte l’umanità all’inizio del terzo millennio, indicate con grande visione del futuro nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004.

La prima delle sfide più grandi, si legge al punto 16 del Compendio, è quella della verità stessa dell’essere-uomo. Il confine e la relazione tra natura, tecnica e morale sono questioni che interpellano decisamente la responsabilità personale e collettiva in ordine ai comportamenti da tenere rispetto a ciò che l’uomo è, a ciò che può fare e a ciò che deve essere.

Una seconda sfida è posta dalla comprensione e dalla gestione del pluralismo e delle differenze a tutti i livelli: di pensiero, di opzione morale, di cultura, di adesione religiosa, di filosofia dello sviluppo umano e sociale. Tali differenze si sono manifestate in maniera esplosiva con la globalizzazione.

La terza sfida è la globalizzazione, che ha un significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché nella storia si è aperta una nuova epoca, che riguarda il destino dell’umanità.

Comitato Tecnico Scientifico dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)